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F1, Mara Sangiorgio: “Credo che la Ferrari avesse qualcosa nel taschino, Binotto ha scelto il profilo basso”

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In questi giorni sarebbe dovuta essere nel bel mezzo di qualche giorno di riposo tra il Gran Premio del Bahrein di Formula Uno e quello del Vietnam. Suo malgrado, invece, Mara Sangiorgio, giornalista e volto noto di Sky Sport, è costretta a rimanere a casa come tutti noi per colpa del coronavirus che ha bloccato e sta bloccando quasi tutto il mondo. Un momento non semplice che sta incidendo sulla vita in generale e anche sullo sport che, ormai, appare purtroppo un pensiero lontano. Proviamo con lei, nonostante tutto, a parlare per quanto possibile della massima categoria del motosport e dei suoi possibili scenari futuri.

Mara, in teoria il Mondiale di Formula Uno dovrebbe essere pronto per il suo terzo appuntamento, invece siamo qui a fronteggiare un problema ben più importante. Come stai vivendo questo stop forzato? 

“Purtroppo la situazione è davvero drammatica a livello globale e non è per niente semplice in questo momento pensare a quando si potrà tornare a gareggiare. Fa davvero impressione pensare che un mese fa si concludevano i test di Barcellona, sembra davvero passata una vita. La speranza di tutti è che questa pandemia possa avere termine nel più breve tempo possibile, in Italia e nel resto del globo. Solamente a quel punto saremo in grado di capire quale direzione prenderanno le decisioni”.

Provando a ragionare a livello di campionato di F1, quali potrebbero essere le soluzioni più plausibili che verranno adottate? 

“Sicuramente, se si ripartirà, vedremo un calendario ridotto rispetto al numero iniziale, ma ad ogni modo sarà complicatissimo incastrare le date. Perchè un Mondiale sia valido occorrono quantomeno 8 Gran Premi, mentre Chase Carey (CEO di Liberty Media, ndr) ha annunciato che saranno tra i 15 ed i 18. Un numero che mi sembra decisamente ottimistico. Si potrebbe concludere con una via di mezzo anche perchè il lato economico non va certo sottovalutato. I team più piccoli hanno bisogno di correre per gli sponsor, come non vanno dimenticati gli importanti contratti per i diritti tv che sono stati firmati”.

Uno stop che sta mettendo a dura prova il mondo in generale e che ci sta anche privando di un avvio di annata che si annunciava interessante.

“Peccato davvero, perchè sono convinta che stava per incominciare una stagione interessante. Per quanto visto nelle sessioni del Montmelò si notava un maggiore livellamento verso l’alto. Come ogni volta che si va a chiudere un’era, in questo caso la prima dell’ibrido, chi rincorre va mano a mano ad avvicinarsi ai top team, ed i tempi messi in mostra lo andavano a confermare”.

Davanti a tutti, come sempre, la Mercedes. La W11 appariva una monoposto senza difetti. Il maggiore rischio rimane forse la troppa sicurezza dei propri mezzi?

“No, anzi. La scuderia di Brackley non corre questi rischi. Dal 2014 ad oggi non ha sbagliato una mossa. Ha impattato con l’era dell’ibrido in maniera eccezionale e, preso quel vantaggio, lo ha cavalcato nella giusta maniera, rinnovandosi anno per anno, non dando mai modo ai rivali di avvicinarsi o di mettere in dubbio la sua leadership. Quest’anno a Barcellona ha cambiato modo di approcciare ai test. Sin dal primo giorno ha messo in mostra la propria potenza e il nuovo sistema DAS. Se si fosse corso a Melbourne sarebbe stata ancora l’ovvia favorita, anche se qualche grattacapo veniva dato dall’affidabilità della Power Unit. Con queste settimane di stop i problemi saranno senza alcun dubbio risolti”.

Come si può spiegare il dominio del team anglo-tedesco nel corso degli anni? Qual è il loro segreto?

“Non hanno un segreto, semplicemente sono una squadra che si muove come gli ingranaggi di un orologio svizzero. In cima c’è Toto Wolff, un team principal che è un punto di riferimento impeccabile per tutti, e attorno a lui un team che rema nella stessa direzione, senza troppa politica, come magari può capitare in Ferrari. Certo, vincere aiuta a vincere e leva molta pressione che, invece, a Maranello è sempre notevole”.

Chi, invece, lasciava qualche quesito ancora aperto era la Ferrari? 

“Senza dubbio Charles Leclerc e Sebastian Vettel avevano chiuso i loro test con diversi punti interrogativi. Non abbiamo avuto la sensazione che la scuderia giocasse in pista e nelle dichiarazioni, ma sono convinta che nel taschino avesse ancora qualcosa. Mattia Binotto aveva annunciato che sarebbe servito un po’ di tempo per vedere la SF1000 ad un buon livello, ma forse aveva voluto calcare un po’ troppo la mano per nascondersi. Quanto successo un anno fa ha segnato in maniera pesante tutta la squadra, per cui in questa occasione hanno optato per un profilo molto più basso. Non penso proprio che in Australia avrebbero lottato per l’ottavo posto sia ben chiaro, per me sarebbero stati in battaglia con la Red Bull come minimo”.

A proposito, come hai visto la scuderia di Milton Keynes nei test pre-stagionali?

“Vi assicuro che Max Verstappen era carico come una molla. Sapeva di avere a disposizione una RB16 che finalmente gli permetteva di lottare con i migliori sin dall’avvio della stagione ed era pronto all’esordio. Per quanto visto al Montmelò era nella migliore condizione degli ultimi anni e avrebbe dato grande filo da torcere alle Mercedes all’Albert Park”.

Cos’altro potevamo attenderci dall’esordio della stagione?

“Ovviamente ci è dispiaciuto non poter volare a Melbourne e, successivamente, renderci conto che il weekend di gara non poteva prendere il via. Avremmo visto equilibrio, ne sono sicura. Su tutte avrei voluto vedere la Racing Point che poteva stupire, ma anche McLaren, Renault e Alpha Tauri sarebbero state molto più vicine ai tre top team”.

Come ben sappiamo sei l’autrice del libro “Lewis Hamilton. Figlio del vento” (edito da Kenness). Un racconto quanto mai dettagliato del “cannibale” della Formula Uno degli ultimi anni, per merito di una costanza di rendimento, una qualità ed una voglia di non mollare mai, che lo stanno portando nel gotha della massima categoria del motorsport.

“Penso che siano caratteristiche che non si possano non notare in un pilota simile. Nel libro ho voluto tracciare il percorso compiuto da Lewis Hamilton, dai primi anni fino ad oggi, cercando di trasmettere ai lettori quello che talvolta non traspare in un mondo nel quale tutti sono spesso un po’ troppo ingessati. Lui invece tra pista e vita privata ha raggiunto una maturità che gli permette di essere se stesso e di farsi conoscere anche per quello che pensa, non solo per ciò che fa”.

L’inglese della Mercedes è pronto per andare all’attacco dei record di Michael Schumacher. 84 vittorie contro le 91 del Kaiser e, soprattutto, 6 titoli iridati contro 7. Da Figlio del vento a leggenda?

“Diciamo che è sulla buona strada… Non so come si potrà definire al termine della carriera, ad onor del vero non mi piace dare troppi titoli. Sicuramente stiamo ammirando un pilota tra i più corretti del lotto che commette pochissimi errori nel corso della sua annata e che, quasi sempre, si fa trovare al posto giusto nel momento giusto. Centrare così tanti successi non è certo casuale. Non gli si può che fare i complimenti per quanto realizzato, e realizzerà”.

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alessandro.passanti@oasport.it

Twitter: @AlePasso

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Foto: Lapresse

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