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Sci di fondo

Storia delle Olimpiadi Invernali – Stefania Belmondo e Manuela Di Centa, quando l’Italia era divisa in due

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C’è stato un momento nella storia dello sci di fondo in cui si poteva scegliere con chi stare, un momento in cui c’era una sorta di divisione partitica alla Coppi e Bartali per sintetizzare, un momento in cui potevamo scegliere fra due grandi campionesse, ultramedagliate e quasi inarrestabili in alcune fasi della carriera. Che tempi quei tempi in cui potevamo scegliere fra due pluricampionesse olimpiche come Manuela Di Centa e Stefania Belmondo.

Nonostante lo sci di fondo fosse uno sport che appariva quasi appiattito sulla pura fatica, solo in parte strategia e tanto sacrificio e dedizione, le due ragazze azzurre avevano però molte cose che le distinguevano e aiutavano a parteggiare per l’una o per l’altra.
Manuela Di Centa era più focosa, tosta, infaticabile, una vera friulana capace di mettersi un traguardo in testa a raggiungerlo a tutti i costi. Stefania Belmondo sembrava molto più dolce, serena e quasi svolazzante su quegli sci, da vera piemontese sempre con modi eccellenti e grande intelligenza tattica.

La Di Centa esordì molto giovane in Nazionale, nel 1980 a soli 17 anni, e iniziò a farsi vedere solo nel 1989, seconda nella 10 km a Klingenthal, mentre la prima vittoria in Coppa del Mondo è datata 18 febbraio 1990 nella 15 km a tecnica libera di Pontresina.
La Belmondo, diciottenne, fece il suo debutto in Nazionale ed andò subito a Calgary ’88 per fare esperienza. A differenza di Manuela Di Centa inizia a vincere in età più giovane, con i due ori dei Mondiali juniores del 1989 e il 12 dicembre 1989 ottiene la prima vittoria, nonché primo podio, in Coppa del Mondo, nella 15 km a tecnica libera di Salt Lake City.

Stefania Belmondo arriva così alle Olimpiadi di Albertville del 1992 con tutti gli occhi addosso. Le grandi rivali erano in tecnica classica le ragazze della Squadra Unificata Ljubov’ Egorova e Elena Välbe, oltre alla fuoriclasse finlandese Marjut Rolig, mentre in tecnica libera alle due ex-sovietiche bisogna aggiungere anche la norvegese Elin Nilsen e la svedese Marie-Helene Östlund.
Partecipa e fa battere i cuori degli italiani in tutte le gare del panorama femminile con un quarto posto nella 5km tecnica classica, quinto posto nella 15km tecnica classica, secondo posto nell’Inseguimento in tecnica libera e un meraviglioso e davvero emozionante oro nella 30km tecnica libera battendo le due terribili atlete ex-sovietiche arrivate in una forma spettacolare. Manuela Di Centa in quell’edizione è mediocre nelle gare individuali (12ª nella 5 km, 6ª nella 30 km, 10ª nell’inseguimento), mentre dà una grossa mano nella staffetta dove le due nostre punte, insieme a Bice Vanzetta e Gabriella Paruzzi, arrivano terze.

La friulana non è soddisfatta delle sue Olimpiadi, vuole avere anche lei intorno tutto il clamore che in Italia è scoppiato per Stefania Belmondo e per sua fortuna ha un obiettivo che da medio termine diventa di breve termine perché il CIO decide di alternare negli anni pari le Olimpiadi estive e invernali. Quando parte per Lillehammer ’94 sa che non può fallire.

Fra gli uomini vinciamo una gara in staffetta battendo i padroni di casa norvegesi che schierano un irraggiungibile Bjørn Dæhlie battuto in volata dal nostro Silvio Fauner, mentre fra le donne il Bjørn Dæhlie ce l’abbiamo noi ed è proprio Manuela Di Centa. In quella edizione epica per i nostri colori vince la 15 km tecnica libera, la 30 km tecnica libera, è seconda nella 5km tecnica classica e nell’inseguimento in tecnica libera, mentre la staffetta è ancora bronzo con le stesse staffettiste di due anni prima. In questa edizione Stefania Belmondo vince solo il bronzo in staffetta e un altro bronzo nell’Inseguimento ed è da questo momento esatto che inizia la rivalità che farà bene ad entrambe e farà soprattutto bene al movimento in Italia che in quegli anni cresce e crea anche buone basi per gli ani successivi.

Raggiungere l’obiettivo massimo degli ori olimpici (oltre alla Coppa del Mondo 1994) per Manuela Di Centa vuol dire essere appagata di tutta quella energia e determinazione feroce che sono servite per arrivare alle vittorie e dopo Lillehammer il grande colpo è stato solo la vittoria della Coppa del Mondo nel 1996. Manuela arrivò a Nagano ‘98 ormai decisa a dire addio allo sci e a fare tutt’altro, senza però prima lasciare con un altro bronzo in staffetta.

Nagano ’98 anche per Stefania Belmondo fu uno spartiacque. Con un bronzo in staffetta e un argento nella 30km tecnica libera dietro al nuovo fenomeno Julija Čepalova, doveva decidere se mollare come la Di Centa oppure puntare al bersaglio grosso dopo quattro anni. Si rimise sotto, rivinse tanto in Coppa del Mondo e ai Mondiali e arrivò a Salt Lake City 2002, dove aveva vinto la sua prima gara di Coppa del Mondo, con un ultimo grande obiettivo, rivincere ancora l’oro. Ci riuscì, in una gara che incollò milioni di spettatori alla televisione, nella 15km tecnica libera davanti alla ceca Kateřina Neumannová e alla Čepalova. Nella 30km si arrese solo alla compagna di squadra Gabriella Paruzzi, finalmente vincente anche lei dopo anni e anni passati a veder vincere le due compagne di squadra. Dopo questa nuova affermazione, anche per Stefania arrivò il momento di dire basta.

C’è stato un momento in cui potevamo scegliere chi tifare in una disciplina che ci ha dato sempre grandi soddisfazioni ma mai come in quel periodo quando potevamo decidere se schierarci con Stefania Belmondo o Manuela Di Centa.

Di Jvan Sica





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