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‘Italia, come stai?’: boxe, mancanza di ricambi e crisi del professionismo. Strada difficile verso Tokyo 2020

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Il pugilato italiano sta vivendo una fase storica di profondo affanno. Se per un decennio i dilettanti, con trionfi olimpici ed iridati, avevano in parte nascosto la crisi ormai atavica del professionismo, attualmente il movimento deve fare i conti con un ricambio generazionale mai attuato ed un roster di giovani non così allettante, ad oggi, in ottica futura.

Partiamo dalla boxe che potremmo definire ‘olimpica’, quella di cui fanno parte sia i dilettanti puri (AOB), sia i semi-professionisti (WSB), per finire poi con i professionisti appartenenti alla sigla Aiba (APB). Non entreremo nel merito dell’ormai inarrestabile frastagliamento di uno sport che, anche a causa del fardello di giurie troppo spesso non all’altezza, sta perdendo rapidamente consensi e credibilità. Soffermiamoci, invece, sulle prospettive attuali ed a lungo termine dell’Italia.

Il Bel Paese è reduce da una disastrosa edizione dei Giochi Olimpici di Rio 2016, la peggiore degli ultimi 24 anni. Le medaglie sono rimaste un miraggio lontanissimo e fuori portata. Un ciclo vincente e glorioso, quelli dei Cammarelle, Picardi, Valentino e Russo, si è concluso senza che nuove leve fossero pronte a raccogliere il testimone di campioni di tale levatura.

Ad oggi la situazione appare piuttosto desolante. Il prospetto più interessante (l’unico?) verso Tokyo 2020 sembra il super-massimo Guido Vianello, ancora molto giovane (22 anni) per una categoria dove esperienza e furbizia giocano un ruolo chiave. Il romano ha già mostrato di poter battagliare ad armi pari con qualunque avversario, pur peccando ancora nella continuità di rendimento. Vianello ha cuore e voglia di arrivare, sa esaltarsi nel corpo a corpo ed è dotato di un allungo che può mettere in difficoltà chiunque. Se il percorso di crescita procederà nella giusta direzione, alle prossime Olimpiadi l’Italia potrebbe poter contare su un pugile da medaglia.

A dispetto dei suoi 24 anni, Manuel Cappai è già un veterano, con due partecipazioni a Cinque Cerchi alle sue spalle. Sin qui, tuttavia, il sardo ha lasciato intravedere solo a sprazzi lampi di un talento importante, ma non sfruttato ancora al pieno delle proprie possibilità. Abbandonata la categoria dei -49 kg, Cappai cercherà ora di farsi strada tra i pesi mosca (-52 kg): è un altro dei pugili su cui bisogna necessariamente investire in ottica 2020, magari lavorando su una diversa impostazione tattica (sovente il sardo paga dazio ad una guardia troppo bassa, pur dotato di eccezionale prontezza di riflessi).

Dopo un avvio che lasciava ben sperare, si è un po’ perso il medio Salvatore Cavallaro (classe 1995), mentre tra i giovanissimi andranno monitorati Alessio Cangelosi, Nicola Cordella, Matteo Pirrera, Vincenzo Lizzi, Raffaele Di Serio e Paolo Di Lernia. Si tratta, ad oggi, di buoni prospetti, ma ancora da costruire sia sul piano fisico che della tecnica.

Se tra i veterani Clemente Russo non molla la presa e sogna la quinta partecipazione olimpica a Tokyo 2020, due pugili che, per età, dovrebbero trovarsi all’apice della carriera, stanno vivendo una pericolosissima parabola discendente. Vincenzo Mangiacapre, talento purissimo, si era presentato al mondo nella rassegna iridata del 2011, quando vinse il bronzo a soli 21 anni, risultato poi ripetuto alle Olimpiadi di Londra 2012. Sembrava l’inizio di un cammino disseminato di vittorie. Da allora, tuttavia, il pugile di Marcianise ha accusato un vistoso calo di risultati e l’equivoco sulla categoria di peso (da superleggero a welter) non ha di certo aiutato. Il Mangiacapre sconfitto di recente nelle WSB contro il britannico McCormack è apparso l’ombra del pugile di un tempo, avendo perso quelle doti di rapidità e dinamismo che lo avevano reso grande. Altro potenziale campione in difficoltà è Valentino Manfredonia. L’italo-brasiliano, esploso relativamente tardi a 26 anni, aveva incantato nel 2015, aggiudicandosi addirittura il titolo individuale delle WSB. Da allora un’operazione alla spalla ed un ritorno sul ring complicato, con una lunga serie di sconfitte contro avversari tutt’altro che eccelsi. Mangiacapre e Manfredonia, entrambi classe 1989, avrebbero ancora tempo per dare una sterzata alle rispettive carriere, magari anche prendendo in considerazione l’ipotesi del professionismo.

Ed arriviamo proprio ad un’altra nota dolentissima della boxe tricolore. Normalmente un pugile dovrebbe vivere gli anni da dilettante come preparazione in vista del professionismo. Tuttavia, nei nostri confini, il passaggio non avviene quasi mai. Stiamo parlando di uno sport che, purtroppo, ha perso appeal: mancano sponsor e organizzazioni che sappiano garantire ingaggi importanti. Per molti risulta molto più conveniente (e sicuro) dal punto di vista economico rimanere tra i dilettanti e con lo stipendio mensile garantito dalle forze armate che, è bene precisarlo, rivestono un ruolo imprescindibile per la pratica sportiva nel nostro Paese. Non è un caso se attualmente l’Italia non vanti alcun campione del mondo tra i professionisti. All’orizzonte si intravedono buoni pugili come Fabio Turchi e Luca Giacon, troppo poco tuttavia se raffrontato a realtà floride come quelle di Germania e Gran Bretagna, dove si investono milioni di euro in questo sport.

A breve termine, dunque, le soddisfazioni maggiori potrebbero arrivare dal settore femminile. Sarà fondamentale riuscire a sfruttare appieno l’immenso potenziale di Irma Testa, capace di qualificarsi alle Olimpiadi di Rio 2016 a 18 anni dopo aver dominato nelle categorie giovanili. Servirà mantenere i piedi per terra per costruire un quadriennio importante verso Tokyo 2020. Già pienamente affermata è anche Alessia Mesiano, campionessa del mondo in carica dei -57 kg che potrà beneficiare dell’allargamento da 3 a 5 categorie di peso alle prossime Olimpiadi.

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federico.militello@oasport.it

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