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Rugby a 7

La dura realtà del rugby a 7 in Italia: una disciplina sulla quale si continua a non investire, rinunciando magari a una medaglia olimpica

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Il Comitato Olimpico Internazionale ha ammesso nuovamente il rugby fra le discipline olimpiche nell’ottobre del 2009 e il primo torneo olimpico dopo 92 anni di assenza si è tenuto quindi a Rio de Janeiro. Quello a cui abbiamo assistito alle Olimpiadi, tuttavia, non è il rugby che conosciamo in Italia e che siamo abituati a vedere in televisione, perché si tratta di rugby a 7, la variante giocata da sette giocatori per team, che oltre alla composizione delle squadre ha una importante differenza dal più noto e diffuso rugby a 15: le partite durano molto meno.

Il gioco è quindi più rapido e con meno tempi morti e alle mischie ordinate e alle touche partecipano solamente tre giocatori. Le mete vengono inoltre trasformate con i drop, cioè calciando il pallone appena dopo averlo lasciato rimbalzare a terra, e non con i calci piazzati come nel rugby a 15. La squadra che segna una metà ricomincia la partita in fase di possesso palla, mentre nel rugby a 15 è la squadra che subisce la meta a ripartire. Sulla maggior spettacolarità del rugby a 7 ci sono in realtà pareri discordanti: è vero che le partite sono più intense e movimentate, ma le azioni possono risultare anche più monotone rispetto a quelle del rugby a 15, dove invece si vedono più schemi e azioni corali.

La questione relativa alla scarsa visibilità di questa disciplina risiede soprattutto in un aspetto fondamentale: non esistono veri e propri club di rugby a sette, se non nel Regno Unito e in alcuni paesi dell’Oceania, e i giocatori che formano le nazionali giocano praticamente tutti nelle squadre a 15 o a 13 (una terza versione del rugby). Le nazionali più forti del rugby a 7 sono più o meno le stesse del rugby a 15, anche se sussiste qualche piccola differenza nelle gerarchie (vedi l’esempio di Fiji).

L’Italia se la cava così così: nel maggiore torneo europeo — il Sevens Grand Prix Series, a cui partecipano 12 squadre — ha ottenuto degli ottimi risultati, arrivando seconda nel 2004 e terza nel 2005, 2006 e 2009. Però non partecipa dal 2004 alle World Rugby Sevens Series, il secondo torneo internazionale più importante che si tiene annualmente, mentre ai Mondiali non è mai arrivata oltre il 17esimo posto. Alle Olimpiadi di quest’anno la nazionale italiana non è stata presente, una delusione che certamente non aiuta nell’intento di investire con decisione su questa disciplina olimpica. La mancanza di un campionato italiano nel quale far crescere e specializzare i giocatori condizione l’intero sistema, oltre a precludere la possibilità di far conoscere ad un pubblico più vasto uno sport che meriterebbe di certo maggior considerazione. Il paragone più lampante che viene effettuato in merito è quello di una Spagna che riesce a portare ben due formazioni alla manifestazione a cinque cerchi, spostando dunque la questione su una federazione (quella iberica) che è stata in grado di formare gli atleti e di svolgere un progetto sulla durata dei 4-5 anni. Come in tutti i settori, pertanto, l’impegno alla fine regala sempre i suoi frutti.

simone.brugnoli@oasport.it

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