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Ciclismo: niente più freni a disco in gara dopo gli incidenti alla Roubaix

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La lettera aperta su Facebook di Francisco Ventoso è servita a qualcosa.

“Ho trascorso tredici anni nel ciclismo professionistico e altrettanti nelle categorie giovanili. Ventisei anni sulla bici, allenandomi ogni giorno e godendo di quel che più mi piace, la mia passione. È da quando avevo sei anni che gareggio, lo faccio tuttora e sono contento di aver fatto della mia vocazione un lavoro.

Come ogni sport, il ciclismo ha visto una evoluzione in molti aspetti tecnici … e in altri, non tanto.

In tutti questi anni ho visto migliorare i materiali: prima, l’acciaio; poi, l’alluminio; più tardi, il carbonio. Quest’ultimo è giunto per restarci, grazie alle sue caratteristiche tecniche di rigidità e leggerezza. Ho anche visto come si è passati a pedali a sgancio rapido, molto più comodi, efficienti e sicuri. Siamo passati a caschi sempre più leggeri, con design spettacolari e, inoltre, con tutte le garanzie di sicurezza.

Ho visto anche uno sviluppo molto importante nel cambio. La mia primi bici aveva una corona e tre pignoni; ora corriamo con due, talvolta tre, corone e undici pignoni… e sicuramente non sarà finita qui. L’evoluzione tecnologica è stata una serie di prove, talvolta con un errori: arrivare al punto attuale non è stato semplice. Ricordo come facilmente si rompeva una catena quando si è passati ad avere dieci pignoni: i giunti si rompevano, per colpa di materiali ancora non abbastanza resistenti. Capita ancora oggi. Si può parlare anche della rivoluzione del cambio elettronico. Quanto è stato introdotto e usato per la prima volta, tutti eravamo sorpresi ed abbiamo emesso dei giudizi affrettati: non è necessario, potrebbe non funzionare bene, trasportare batterie appare sbagliato e così via. Oggi non ci immaginiamo in bici senza di esso.

Da un paio d’anni hanno fatto capolino le primi bici con freni a disco nel ciclocross e si mormorava della possibilità che i freni a disco fossero utilizzati anche nelle gare su strada.

Voglio dire innanzitutto che io sono il primo a consigliare i freni a disco per il ciclocross o per un amatore che pedala con gli amici.

Però, nelle gare professionistiche, davvero qualcuno pensava che un incidente non si sarebbe verificato? Davvero nessuno pensava che i freni a disco sono pericolosi? Che tagliano, che sono delle autentiche lame affilate?

Nell’ultima Parigi-Roubaix, solo due squadre hanno utilizzato i freni a disco (Direct Énergie e Lampre-Merida, ndt). Due squadre, con otto corridori a testa. In totale, sedici ciclisti che trasportavano trentadue dischi in gruppo. Bene dunque: in un tratto di pavé, per la precisione al km 130, si registra una caduta con conseguente groviglio e frenata generale, che mi ha fatto colpire il corridore che avevo davanti, il quale cercava di liberarsi dalla caduta. Io non sono finito a terra – solo la mia gamba ha toccato la parte posteriore della sua bici. Mentre sto per ripartire mi guardo la gamba: non mi fa male, non sanguina troppo, però osservo che una parte del periostio è scoperta. Vedo la guaina che ricopre la mia tibia. Mi fermo sulla destra della strada, mi porto nel prato, mi metto le mani sul volto e inizio ad avere giramenti di testa. Aspetto la mia ammiraglia e l’ambulanza, mentre mi passano per la testa tante cosa.

Sfortuna? Non credo: pochi km dopo si conferma quel che penso.

15 km più tardi entra in ambulanza Nikolas Maes della Etixx-Quick Step. Ha un profondo taglio in un ginocchio, prodotto da un disco, precisamente quello del trentadue. La domanda è immediata: cosa succederà quando si avranno 396 freni a disco mentre i 198 ciclisti di sfideranno per limare e le cadute sono inevitabili?

I freni a disco non avrebbero MAI dovuto arrivare nel mondo dei professionisti, almeno nella modalità in cui li conosciamo oggi. Almeno fin quando non avranno sistemi di protezione e sicurezza che non li trasformino in autentici coltelli montati sulle biciclette.

In aggiunta, con i freni a disco ci sono problemi per cambiare le ruote dopo una foratura; problemi per le auto dell’assistenza tecnica nei casi in cui non ci sia l’ammiraglia al seguito… e la cosa più importante: sono lame, che a certa velocità diventano dei veri e propri machete. Ci sono gare nelle quali raggiungiamo velocità massima di 80, 90 e anche 100 km all’ora.

Io ho avuto fortuna: è solo la gamba, solo muscolo e pelle. Vi immaginate un freno a disco conficcarsi nella giugulare o nell’arteria femorale? No: meglio non immaginare.

E tutto questo succede perché l’Associazione Internazionale dei Corridori (CPA), associazioni di corridori nazionali, federazioni nazionali e internazionali, squadre e, soprattutto, NOI, CICLISTI PROFESSIONISTI, non abbiamo fatto nulla. Però ora bisogna agire e mettere del buon senso a quello che è evidente. Sempre pensiamo che se non accade a noi non è un problema. Aspettiamo che i fatti avvengano prima di prendere contromisure. Prima o poi può succedere a chiunque: sono probabilità, tutti abbiamo le medesime. Come ciclisti professionisti dobbiamo guardare oltre al nostro ombelico, e utilizzo questa espressione perché sia chiaro. Certuni ci dicono quello che dobbiamo fare, ma non possiamo dimenticare che NOI ABBIAMO IL POTERE DI DECIDERE, E DOBBIAMO FARE UNA SCELTA.

I freni a disco tagliano. Stavolta è toccato a me; domani, potrebbe succedere ad altri”.

Finalmente l’UCI, come ha detto Harald Tiedemann Hansen, presidente della commissione materiali al sito Procycling.no, ha deciso di dire stop alla sperimentazione dei freni a disco in gara. L’anno scorso era arrivata la possibilità di provarli durante le corse World Tour, ma a causa dei numerosi incidenti arrivati alla Roubaix, come quello dello stesso Ventoso, è arrivato lo stop.

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Foto: Wikipedia Commons

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