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Editoriali

‘Italia, come stai?’: atletica, ci salva l’orgoglio, ma non basta; eclissi di rugby

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Dopo un sabato da incubo, con lo spettro retrocessione davvero vicino, l’Italia si è rialzata con una reazione d’orgoglio nell’Europeo per Nazioni (ex Coppa Europa) a Braunschweig, chiudendo al settimo posto finale, esattamente come nella passata edizione.
Un risultato tutto sommato più che positivo considerando i limiti attuali della nostra atletica, per la quale il banco di prova vero e proprio sarà rappresentato dagli Europei di Zurigo in programma a metà agosto.
E’ piaciuto l’approccio di quegli atleti che, pur non avendo chance di primeggiare, si sono superati proprio nel momento più importante, dimostrando carattere e, soprattutto, cuore. Pensiamo ad esempio al giavellottista Norbert Bonvecchio, per la prima volta in carriera sopra gli 80 metri, al terzo posto di Nicola Benedetti negli 800 metri, al quarto di Yuri Floriani nei 3000 siepi, ma anche al personal best di Margherita Magnani nei 3000 metri. Ottima l’impressione destata dalle giovani mezzofondiste: su tutte una Federica Del Buono che nei 1500 ha mostrato stoffa e temperamento per provare nei prossimi anni ad avvicinarsi alle migliori interpreti della distanza.
Oggettivamente, per la compagine tricolore era impossibile puntare ad un obiettivo superiore al settimo posto. La rassegna continentale in terra tedesca non deve ingannare: l’atletica resta la grande malata dello sport italiano attuale.
In vista di Zurigo le chance di medaglia appaiono scarne, il che la dice lunga sulle potenzialità del movimento al cospetto del mondo. In Svizzera ci affideremo quasi esclusivamente alla marcia femminile, con Anna Eleonora Giorgi diventata ormai una big internazionale della disciplina, ed alla maratona, dove potremo ben figurare con Valeria Straneo, Anna Incerti e Ruggero Pertile, mentre i novizi Andrea Lalli e Daniele Meucci dovranno dimostrare di che pasta sono fatti sui 42 km e 195 metri.
Per il resto, ci affideremo all’intramontabile Fabrizio Donato nel salto triplo, nella speranza che Daniele Greco possa ritrovare presto la miglior condizione dopo gli infortuni dell’ultimo anno. Proprio Greco rappresenta insieme ad Alessia Trost (salto in alto) la più grande speranza azzurra in ottica Olimpiadi di Rio 2016. Due talenti cristallini, con qualità ancora inesplorate, ma per ora frenati da troppi acciacchi fisici. Si tratta di due diademi troppo preziosi e la Fidal non può permettersi di sperperarli. Purtroppo ormai in italia i campioni veri nascono con il lanternino e non possiamo permetterci dei nuovi casi Howe, altro puledro di razza che ha visto compromessa la propria carriera da una serie infinita di infortuni.
Resta purtroppo aperto il problema dei tanti  talenti che non mantengono le aspettative nel passaggio dalle categorie giovanili ai palcoscenici che contano davvero. Tanti nostri atleti strabiliano a 17-18 anni, salvo assestarsi su quelle misure per tutto l’arco della carriera, senza riuscire più a progredire. I mancati progressi troppo spesso vengono imputati ai soliti infortuni, una parola che rischia di trasformarsi in un alibi pericoloso.
L’atletica italiana, dunque, continua ad ansimare: assente dalla velocità, in lieve crescita (quanto meno al femminile) nel mezzofondo, poco competitiva anche nei concorsi, dove invece nazioni come la Germania costruiscono le proprie fortune, soprattutto nei lanci. Anche la marcia maschile, dopo il caso doping di Alex Schwazer, non ha più prodotto atleti di alto livello. Probabilmente i fasti di un passato sempre più lontano non torneranno più. Eppure, anche la strada per raggiungere una competitività almeno accettabile a livello mondiale, resta veramente lunghissima.

Altro sport in crisi profonda ed in evidente caduta libera è il rugby. La tournée estiva del Pacifico si è rivelata disastrosa per la selezione tricolore, con 3 sconfitte meritate al cospetto di Fiji, Samoa e Giappone. Con la compagine del Sol Levante si è trattato del primo ko di sempre. La striscia negativa dell’Italia sale così a 9 partite, con annesso cucchiaio di legno ‘vinto’ al Sei Nazioni 2014. Siamo quattordicesimi nel ranking mondiale e, se prima il confronto era con Scozia, Galles, Irlanda o Francia, ora fatichiamo a vincere anche con formazioni che, solo un paio di stagioni fa, sembravano in netto ritardo. E non stiamo parlando del solo Giappone: l’Italia ‘ammirata’ in questo Iunius horribilis avrebbe certamente faticato anche con Georgia, Canada. Romania e Usa, tutte selezioni che ci tallonano nella classifica globale.
L’obiettivo dichiarato di conquistare la qualificazione ai quarti di finale ai Mondiali 2015 appare oggettivamente utopistico in questo momento.
E dire che solo nel 2013 l’Italia disputava forse il suo Sei Nazioni migliore di sempre, chiuso al quarto posto dopo essere stata capace di giocarsela a testa alta con chiunque. Da lì un crollo quasi inspiegabile per quanto repentino. Il ct francese Jacques Brunel appare in palese confusione, condizione di cui risente inevitabilmente anche la squadra.
Negli anni non si è verificato l’atteso ricambio generazionale. Nell’ultima tournèe mancavano giocatori, comunque non più giovanissimi, del calibro di Castrogiovanni, Zanni e Parisse. Le alternative non si sono rivelate all’altezza. I problemi sono numerosi, forse troppi. Da 15 anni cerchiamo vanamente un mediano di apertura quanto meno discreto; stesso discorso per il mediano di mischia, ruolo rimasto scoperto dall’addio di Troncon; dopo i segnali positivi del 2013 è tornato anonimo il reparto dei trequarti; ma, fattore più grave in assoluto, la selezione tricolore ha perso competitività anche in prima linea, con la mischia ormai non più imprescindibile punto di forza come in passato.
In questa situazione è difficile che Brunel, come un suo eventuale successore, possa estrarre il coniglio dal cilindro.
L’esperienza dei club italiani nel Pro-12, campionato celtico cui partecipano squadre gallesi, scozzesi e irlandesi, si è rivelata fallimentare, con Zebre e Treviso agli ultimi posti nel Campionato appena terminato. Non parliamo poi dell’Eccellenza, il massimo torneo che assegna lo scudetto in italia, ma il cui livello diminuisce progressivamente. Per intenderci, un giocatore di Eccellenza non è pronto per vestire la maglia della nazionale. Le accademie federali, su cui la FIR investe da anni fior di quattrini, non hanno portato gli esiti sperati.
Aggiungiamoci la totale mancanza di lungimiranza nel creare un progetto serio sul rugby a 7, sport che sarà olimpico a partire da Rio 2016, e il quadro è completo.
Dal 2000, anno di ingresso nel Sei Nazioni, l’Italrugby è stato seguito da una grande massa di tifosi, con stadi sempre pieni a prescindere dai risultati negativi. Nel 2014, tuttavia, abbiamo assistito ad una inversione di tendenza. Perdere sempre, alla lunga stanca. Tra una crisi tecnica senza precedenti ed un eventuale calo di affetto dei tifosi, la palla ovale del Bel Paese rischia seriamente di eclissarsi.

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federico.militello@olimpiazzurra.com

2 Commenti

1 Commento

  1. Federico Militello

    23 Giugno 2014 at 18:57

    Ahahah, grandissimo sul rugby touch.

    Riguardo alla Celtic League, secondo me l’errore è stato credere che risolvesse tutti i problemi. Nel frattempo l’Eccellenza si è indebolita sempre più e, a mio parere, chi gioca in quel campionato non viene formato a dovere per giocare nel rugby che conta.

  2. Al

    23 Giugno 2014 at 17:29

    Provo a dire qualcosa di costruttivo sul rugby. Per il mondiale, da settembre tenere in campo i giovani anticipando il ricambio previsto dopo il mondiale. Prendere altre mazzate da qui al mondiale non ci può spaventare, ormai l’errore è stato fatto, meglio lavorare per il prossimo quadriennio. E nulla vieta che saltino fuori altri piccoli Campagnaro, se li fai giocare però.

    Per la gestione del movimento, date alla federazione tutte le colpe che merita, ma teniamo presente che l’Italia ha investito quasi tutto sulla lega celtica e proprio quest’anno quell’organizzazione è stata in crisi gravissima, sul punto di saltare. Ora siamo soci alla pari e quindi sarebbe il caso di sfruttarla fino in fondo, mandandoci una terza squadra che faccia riferimento a una grande città, magari Roma.

    Per il futuro, portare il rugby nelle scuole puntando sul rugby a tocco (touch). L’ho visto giocare ed è molto divertente, per nulla pericoloso e la cosa più importante, maschi e femmine giocano insieme. Io alle superiori lasciai il calcio per la pallavolo perché c’era pieno di ragazze, se ci fosse stato uno sport dove si potevano legalmente smanacciare… non avrei avuto dubbi. 🙂

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