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Storie Mondiali: Andrés Escobar, morto per un autogol

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Per il calcio si gioisce e si piange, si esulta e si soffre, si ride e si scherza: un gol, una parata, un qualsiasi gesto atletico del nostro campione preferito sono in grado di farci emozionare al pari di una meravigliosa opera d’arte. É questa la vera magia di uno sport che raduna ad ogni sua partita centinaia di migliaia di persone, fra stadi, schermi televisivi, radio e nuove tecnologie.
Ma nel calcio, per il calcio, capita anche che si muoia. Succede agli ex giocatori malati di sclerosi laterale amiotrofica, questa malattia nota con il triste acronimo “SLA”, che ancora oggi ha innumerevoli punti oscuri; succede ai tifosi travolti da un crollo o da una calca improvvisa; succede alla vita di quei professionisti, finita in un campo di gioco, a causa di malesseri che si pensa non possano toccare chi è sottoposto alla rigida vita d’atleta. Ma una delle morti più assurde, più oscure e grottesche è sicuramente quella di Andrés Escobar, brillante calciatore colombiano, assassinato dai suoi stessi tifosi. A causa di un autogol.

Andrés Escobar Saldarriaga nasce il 13/03/1967 a Calasanz, quartiere nord-occidentale della città di Medellín, nel cuore della Colombia andina. Il capoluogo dell’Antioquia è tragicamente noto per l’alto tasso di omicidi collegato all’espandersi del narcotraffico, sopratutto fra gli anni 70 e 80: ciononostante, il piccolo Andrés cresce serenamente, diplomandosi al collegio Conrado González Mejía.
Ma i libri di scuola non sono la sua vera passione: il ragazzo stravede infatti per il pallone, nonostante la nazionale non stia vivendo un periodo propriamente entusiasmante. Al contrario della rappresentativa nazionale, l’Atlético Nacional de Medellín vive momenti davvero positivi negli anni 70, conquistando due campionati e spezzando il dualismo al vertice fra le squadre di Bogotá ed il Deportivo Cali. Migliaia di persone riempiono lo stadio Atanasio Girardot quando giocano Los Verdolagas, e chiaramente il più grande sogno del giovane Escobar è militare nella principale squadra della sua città. Brillanti prestazioni con la formazione del quartiere gli valgono l’ingresso nelle giovanili del team cittadino, fino a debuttare tra i professionisti non ancora ventenne. La sua correttezza in campo e la sua sportività gli fanno ottenere il soprannome di El Caballero del Futbol (Il cavaliere del calcio): partita dopo partita, il numero 2 dell’Atlético Nacional si conquista la fiducia e l’affetto dei tifosi, emergendo come un terzino forte fisicamente ed efficace nei contrasti, una vera garanzia per René Higuita, lo smargiasso portiere-goleador della squadra.
Già nel 1988 Francisco Maturana, storico selezionatore colombiano, si accorge di lui e lo convoca in nazionale
, ed il giovane Escobar lo ripaga della fiducia segnando la sua unica rete internazionale in un palcoscenico di lusso: lo stadio di Wembley, dove la Colombia affronta l’Inghilterra in una partita valida per la Stanley Rous Cup, mettendo il pallone alle spalle del mito Peter Shilton. Intanto, il Nacional è protagonista di una cavalcata trionfale nella Copa Libertadores del 1989, conclusasi con la vittoria ai calci di rigore contro l’Olimpia di Asunción. Nel dicembre dello stesso anno, solo una punizione di Chicco Evani al minuto 119 permette al Milan di sconfiggere gli ostici colombiani e di aggiudicarsi la Coppa Intercontinentale.
Smaltita la delusione per questa sconfitta, Escobar accetta di trasferirsi in Europa, nello Young Boys di Berna. Ma la squadra della capitale elvetica non conferma i promettenti risultati delle precedenti stagioni, ed il difensore colombiano probabilmente non digerisce con facilità il freddo clima alpino. Nel giro di pochi mesi, torna nella natia Medellín, consacrandosi definitivamente come eroe dei tifosi. Con la squadra della sua città, dove concluderà la breve carriera, riesce ad aggiudicarsi anche il campionato nazionale nel 1991. Nel mezzo, l’esperienza dei Campionati del Mondo di Italia ’90, dove la Colombia viene eliminata agli ottavi di finali dai Leoni Indomabili camerunesi di Roger Milla.

Escobar è ormai un pilastro sia della difesa del Nacional, che della squadra nazionale, confermandosi sempre sugli alti livelli già espressi nelle stagioni precedenti. C’è grande attesa attorno alla spedizione colombiana che affronterà i Campionati del Mondo di USA ’94. Nelle qualificazioni, i ragazzi guidati da Maturana sono riusciti ad imporsi per 5-0 a Buenos Aires, rifilando così uno schiaffo storico alla più quotata Selección argentina. Il paese vive sempre momenti di drammatica instabilità: la guerra del narcotraffico continua a generare decine di morti ed il calcio è visto come una sorta di evasione da questa triste realtà. Il sorteggio è benevolo con Los Cafeteros, inseriti nel girone con Romania, Svizzera ed i padroni di casa statunitensi.
Tuttavia, la Colombia si complica enormemente la vita sin dalla prima partita, quando i romeni, trascinati da Hagi e Raducioiu, vincono nettamente col punteggio di 3-1; questo impone ai ragazzi di coach Maturana l’obbligo di vincere le restanti gare per assicurarsi la qualificazione agli ottavi di finale.
Mercoledì 22 giugno va in scena a Los Angeles il decisivo match fra gli Stati Uniti e la Colombia. Sulla carta gli ospiti sono favoriti in virtù delle loro maggiori doti tecniche, ma al minuto 35 succede l’irreparabile. John Harkes, buon centrocampista delle squadra allenata dal santone Bora Milutinovic, crossa un pallone senza troppe pretese dalla sinistra verso l’area avversaria. Escobar cerca di anticipare gli attaccanti a stelle e strisce, ma la sua scivolata ha l’esito di spingere il pallone nella propria porta, spiazzando l’incolpevole portiere Oscar Córdoba
. Il giocatore è sbigottito, e la Colombia non riesce a reagire: al minuto 52 Earnie Stewart affossa definitivamente le speranze dei Cafeteros, realizzando il 2-0. A nulla vale il gol della stella del Bayern Monaco Adolfo Valencia, così come è inutile la vittoria contro la Svizzera nell’ultima partita del girone eliminatorio. Questa gara, disputatisi a San Francisco domenica 26 giugno, è l’ultima della vita di Andrés Escobar. La squadra, ultima classificata del gruppo A, torna a casa enormemente delusa: non parla l’esuberante Carlos Valderrama, soprannominato il Gullit biondo; tace Tino Asprilla, stella del Parma dei miracoli di Nevio Scala; soffre più di tutti Escobar, con il quale la stampa non è certo tenera, e gli addossa le maggiori responsabilità per la precoce eliminazione dai Mondiali. Rientrato a Medellín, il ragazzo cerca in tutti i modi di distrarsi, nel tentativo di scacciare quest’enorme peso che gli grava sull’anima.
La sera del 2 luglio decide di portare la sua ragazza all’Estadero Indio, uno dei migliori ristoranti della città
. Non vale la pena di struggersi ancora dal dolore per quello stupido sbaglio, che pure è costato tanto alla sua nazionale. La vita continua, deve continuare. Una banale autorete non ha nessun diritto di soffocare l’esistenza in un modo così opprimente. É lui stesso ad averlo lasciato intendere in un’intervista rilasciata al ritorno in patria. Gli altri ospiti del locale lo riconoscono subito, e qualche tifoso si avvicina per fargli capire come, nonostante il fattaccio di Los Angeles, lo storico numero 2 della nazionale sia rimasto un idolo per tutti. Andrés è più rilassato e sereno, si gode la frizzante serata della sua città e la compagnia della sua ragazza, ma ad un certo punto si accorge di essere fissato in continuazione da tre uomini. La coppia mangia piuttosto velocemente, perché l’essere osservato così minacciosamente da sconosciuti lo ha reso nervoso. Appena si accingono ad uscire, uno dei tre loschi personaggi, l’ex guardia giurata Humberto Muñoz Castro, si avvicina al giocatore ed esplode dodici colpi di mitraglietta verso di lui, secondo la fidanzata urlando “Goooool!”, come nello stile delle telecronache calcistiche sudamericane. Secondo altri testimoni, il killer urla invece “Grazie per l’autogol!” mentre fa fuoco. Escobar spira poco più tardi in ospedale e, con l’aiuto degli innumerevoli testimoni, le forze dell’ordine risalgono in breve tempo all’assassino, per quanto nei primi istanti sembrava essere riuscito a dileguarsi. Nei giorni successivi gli altri giocatori della nazionale, temendo la medesima fine dello sfortunato compagno, vengono sottoposti ad un regime di massima sicurezza. Al funerale partecipa una folla immensa (si parla di 120.000 persone), fra cui il presidente della Repubblica colombiana César Gaviria Trujillo. L’intero paese è sbigottito per questa tragedia apparentemente inspiegabile ed il comune sentire è drasticamente sintetizzato dall’allenatore Francisco Maturana, il quale dichiara in un’ intervista: “Questo paese è un manicomio permanente!”

Muñoz viene condannato inizialmente a 44 anni, salvo poi essere scarcerato nel 2005, tra le proteste di giornali e tifosi. Sul movente dell’omicidio non è mai stata fatta piena luce: si ipotizza che fosse legato a grosse perdite relative alle scommesse calcistiche, a causa della prematura eliminazione della Colombia dal Campionato del Mondo. Le indagini non hanno mai appurato la reale motivazione di questo crimine, concludendo che non c’era stato nessun piano specifico dietro l’esecuzione. Questa sarebbe stata pertanto soltanto una “conseguenza” della delusione di Muñoz per l’esperienza mondiale. Inutile aggiungere che gli sportivi colombiani non hanno mai creduto a questa spiegazione. Alla memoria di Escobar è stata inaugurata una scuola calcio per i ragazzi di Medellín, in modo da offrire loro una possibilità per evitare di cadere nel cieco tunnel della criminalità organizzata, che ha lasciato un’infinita scia di sangue nel paese andino. Ma la fama del Caballero è davvero qualcosa di eccezionale, se si pensa che ancora oggi i tifosi dell’Atlético Nacional intonano cori in suo onore, e solo da poco tempo la maglia numero 2 ha ripreso ad essere utilizzata nelle partite della nazionale colombiana ( Iván Ramiro Córdoba l’ha più volte indossata). L’assassino è ora libero, ma il ricordo di Escobar non si è mai affievolito, nonostante le innumerevoli domande non abbiano trovato una credibile risposta. Possibile che si possa morire per uno stupido autogol?

L’articolo originale è pubblicato all’indirizzo http://www.sportvintage.it/2009/05/03/morire-per-un-autogol-andres-escobar/

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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

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