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Ciclismo

Gino Bartali e il Giro d’Italia della rinascita

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Quando la guerra aveva spazzato via tutto, tranne l’orgogliosa dignità dei nostri nonni, l’Italia provava a rialzarsi. Era il 1946, anno del referendum monarchia/Repubblica e dell’elezione dell’Assemblea Costituente, quando il Tricolore perse lo stemma sabaudo; soprattutto, era l’anno della prima ricostruzione, delle case, delle officine e delle infrastrutture rialzate mattone su mattone, dei campi da coltivare tra mine e bombe inesplose, con uno spirito d’iniziativa che farà grande il nostro paese.
Il Giro d’Italia, non a caso detto “della rinascita”, è il simbolo sportivo di quell’anno. Il Giro prova a ripercorrere le malmesse strade della penisola, in particolare quelle della sua parte centro-settentrionale, ancora più compromesse dall’invasione nazista e dai bombardamenti alleati. Il Giro e l’Italia rinascono grazie a due grandi personaggi: Gino Bartali e Fausto Coppi, protagonisti assoluti di quella e di molte altre edizioni per una rivalità leggendaria che si tramanderà nei secoli. La rivalità, secondo Sandro Picchi autore della biografia “Gino Bartali”,  si accende proprio il 14 giugno 1946, vigilia della prima tappa: il Campionissimo di Castellania avrebbe dichiarato (il condizionale è d’obbligo) che “io vincerò tutto e ci sarà spazio anche per i miei gregari; agli altri, resteranno solo briciole”. Così il trentaduenne Gino, carattere burbero ma buono, si ritrova nuovamente alle prese con il ventisettenne Fausto, che aveva vinto, proprio da giovanissimo e sorprendente compagno di squadra di Ginettaccio, il Giro 1940, ultimo prima della pausa bellica. La forma di Coppi è ottima: si è rimesso perfettamente dalle privazioni della prigionia e lo aveva già dimostrato vincendo alla Milano-Sanremo con un’impresa leggendaria, partendo prima del Passo del Turchino.
Bartali, ovviamente, non ci sta a cedere senza combattere. Con l’immancabile caffè+sigaretta prima della partenza di tappa (una curiosa prescrizione medica per combattere il problema del cuore lento), riesce ad accumulare un paio di minuti di margine su Coppi attraverso piccole azioni nelle giornate centrali, tra Lazio, Campania e Perugia, sebbene la maglia rosa sia sulle spalle del faentino Vito Ortelli. Ma i problemi e le tensioni della nuova Italia esplodono in tutta la loro drammaticità il 30 giugno, giorno della Rovigo-Trieste altamente simbolico nei confronti della città giuliana non ancora unita al resto del Paese: a Pieris, frazione goriziana che quello stesso anno dà i natali a Fabio Capello, chiodi e sassi vengono lanciati verso i corridori per mano di alcuni cittadini che vogliono l’annessione alla Jugoslavia. Deve intervenire la Polizia Civile del Friuli Venezia-Giulia, corpo militare che si occupa della sicurezza in quel periodo, per sgombrare i rivoltosi e permettere ai corridori di proseguire: ma il milanese Egidio Marangoni è rimasto ferito in modo serio e la paura è tanta. La tappa viene neutralizzata proprio a Pieris e un manipolo di atleti, guidati dal triestino Giordano Cottur, giunge comunque all’Ippodromo Montebello del capoluogo per rispetto nei confronti dei tifosi coraggiosamente accorsi nonostante la difficile giornata, mentre Coppi e Bartali preferiscono raggiungere Udine.
Passata la paura, ci sono le montagne: ad Auronzo di Cadore e Bassano del Grappa vince Fausto Coppi, ma nel primo caso Bartali gli è incollato alla ruota e nel secondo cede poco più di un minuto. Il resto è pura accademia attraverso le frazioni di Trento, Verona, Mantova e Milano, dove il toscano della Legnano si presenta con 47” di vantaggio sul rivale, trionfando così per la terza e ultima volta nella corsa rosa. Un’impresa simbolicamente importante almeno tanto quanto il Tour 1948.

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