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Calcio

Italiani & emigrazione, binomio inscindibile (anche nel calcio)

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In tempi come quelli moderni, il tema delle migrazioni è di grandissima attualità. Non c’è giorno che passi senza sentire o leggere le opinioni più disparate a riguardo. Ebbene, pur senza volerci addentrare troppo in un argomento troppo complesso, a tutti dovrebbe essere abbastanza noto che in passato gli italiani sono stati un popolo di migranti verso altre terre. Un fenomeno che, a voler essere onesti, ha ripreso vigore in questi anni tormentati, e che riguarda anche il calcio nostrano. Infatti, se è vero che il calcio è spesso lo specchio di una società, allora trovano una spiegazione diversi problemi ancora irrisolti; tra i cori razzisti e gli stadi fatiscenti, tra la violenza di molti tifosi e le futili polemiche, i sintomi di un lento ma costante declino sono innegabili. I risultati europei poi lasciano spesso a desiderare, e la distanza con molti campionati del Vecchio Continente inizia a farsi notevole. Nuove potenze calcistiche emergono e surclassano l’Italia con facilità imbarazzante: e i talenti, vecchi e nuovi, fuggono lontano.

Questa serie di affermazioni, e soprattutto l’ultima, potrebbe però non bastare a molti, perché chi afferma una qualsiasi cosa ha sempre poi l’onere di dimostrarla. Niente di più facile: prendendo un nome a caso, quello di Luca Caldirola, ci accorgiamo che l’Inter l’ha tenuto nelle sue giovanili fin dall’infanzia, l’ha fatto crescere, poi l’ha spedito in prestito prima nei Paesi Bassi (al Vitesse) e poi al Brescia. Poi l’ha scaricato come un peso al Cesena, il quale a sua volta l’ha ridato in prestito al Brescia. Infine è arrivato quest’anno il Werder Brema e ha messo fine a questo balletto, offrendo al ragazzo un contratto di ben 4 anni: adesso gioca in prima squadra ed è titolare inamovibile della difesa del Werder. La differenza è tutta qui: in Italia le squadre se lo passavano tra loro come un giocattolo, non concendogli neanche un minimo di fiducia, in Germania una squadra punta su di lui per ottenere risultati e lo lega a sé per un quinquennio (il massimo previsto dalle attuali regole). In poche parole, in Germania (e nel resto del mondo, Italia esclusa) si dà fiducia ai giovani, da noi no.

Credete sia un caso isolato? Purtroppo no, e ci sono anche casi più eclatanti, come quello di Graziano Pellè, di cui oggi si parla un gran bene, ma che fino a non molto fa era il più sconosciuto degli sconosciuti. A dire il vero, in Italia col Cesena gioca quasi tutta la Serie B 2006-2007 (quella passata alla storia per la presenza in contemporanea di Juventus, Napoli e Genoa), ma qui è solo in prestito; poi va per quattro anni anche lui nei Paesi Bassi, all’AZ Alkmaar, dove è titolare, contribuendo a vincere anche un campionato e una Supercoppa olandese. Rientrato nel 2011 in Italia, fa la spola tra Parma e Sampdoria, totalizzando 12 partite nel primo club e 16 nel secondo, partendo spesso dalla panchina. Anche in questo caso, nell’agosto 2012 arriva il Feyenoord, squadra di grande importanza nei Paesi Bassi, compra il ragazzo, gli fa giocare 33 partite con continuità, avendo in cambio 29 gol! Ed anche quest’anno Pellè è titolare fisso, e in 14 partite ha messo la palla in rete ben 12 volte, poco meno di una a incontro! Un talento con una media mostruosa!

L’elenco però a questo punto diventa drammaticamente lungo: si va dal caso di Diego Armando Contento (il cui nome illumina subito sulle sue origini partenopee), sul quale una squadra del calibro del Bayern Monaco ha puntato con fierezza, a quello di Fabio Borini, un talento italiano che ha esordito direttamente in Inghilterra (e questo la dice lunga), che la Roma nel giro di un anno ha prelevato e poi rispedito un’altra volta nella terra di Sua Maestà, passando per Emanuele Giaccherini, mandato dalla Juve al Sunderland, e per i “due napoletani in Russia”, vale a dire Mimmo Criscito (Zenit San Pietroburgo) e Salvatore Bocchetti (Spartak Mosca). Ora, fermo restando che ogni club è libero di progettare il suo futuro come meglio crede, vedere così tanti giocatori italiani all’estero per mancanza di fiducia nei loro confronti sembra quasi un’offesa, anche considerando che i prodotti del nostro calcio sono sempre stati molto apprezzati, e basta vedere quanti allenatori del Bel Paese siedano su una panchina anche prestigiosa di un altro paese o quante “vecchie glorie” abbiano attraversato le Alpi (o il Mediterraneo).

Chiaramente, anche in questo caso, le eccezioni non mancano: c’è chi va anche in luoghi esotici per godersi i frutti e la gloria degli ultimi anni di carriera (e in quest’ottica rientrano i trasferimenti a Montréal di Nesta e Di Vaio, a Sydney di Del Piero e a Dubai di Fabio Cannavaro, che ora ha appeso le scarpette al chiodo), oppure c’è chi è attratto dalla ricchezza degli sceicchi. Soprattutto questo è un problema che ormai tortura il campionato italiano, che in pochi anni ha visto andare proprio per questo motivo al PSG e al Monaco gente come Verratti, Sirigu e Andrea Raggi, per non parlare dei tanti campioni, anche stranieri, che popolavano la nostra Serie A fino a non molto fa: in tal senso, per maggiori informazioni, chiedere a Milan e Napoli.

Come vedete, i giocatori italiani di buona qualità non mancano, ma spesso sono all’estero proprio per questioni economiche o legate alla fiducia. La crisi del nostro calcio dunque ha sicuramente tanti fattori di difficile risoluzione, ma il problema relativo all’abbassamento della qualità in parte potrebbe essere risolto: se è vero che con sceicchi arabi e oligarchi russi non si compete, almeno finché non entrerà in vigore il fair play finanziario sul quale ha puntato tutto il presidente dell’UEFA Michel Platini, dall’altra è vero che tornando a investire sui nostri prodotti la situazione migliorerebbe, anche per la nazionale di Cesare Prandelli. Ma sicuramente anche questo discorso è stato fatto molto altre volte…

Francesco Cositore 

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