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‘Italia, come stai?’: atletica, nessuna sorpresa, ma si può sperare

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Chi è rimasto stupito dal (misero) bottino dell’Italia ai Mondiali di atletica di Mosca, forse si è perso qualche puntata di storia recente.

Dai Mondiali di Berlino 2009 tornammo a casa con zero medaglie: fu la rassegna iridata peggiore di sempre per il Bel Paese. Due anni dopo a salvarci fu Antonietta Di Martino, bronzo nel salto in alto. L’anno scorso, poi, alle Olimpiadi di Londra 2012 arrivò un’altra medaglia del metallo meno pregiato firmata da Fabrizio Donato nel triplo.

Rispetto al recente passato, se possibile, le possibilità di podio erano addirittura diminuite, tanto che non avrebbe destato alcuna sorpresa un’eventuale nuova assenza dell’Italia dal medagliere. Poniamoci una domanda: quanti dei nostri azzurri erano favoriti per agguantare le prime tre posizioni alla vigilia della competizione moscovita? Nessuno. Non lo era Daniele Greco, che nella stagione alla’aperto mai si era issato a misure intorno ai 17 metri e mezzo, ovvero quelle con cui si è andati a medaglia; non poteva esserlo Alessia Trost, alla prima partecipazione iridata al cospetto di veterane sulla scena internazionale da oltre un decennio; non lo era neppure Elisa Rigaudo, un gradino sotto le formidabili russe.

L’atletica italiana non ha mai toccato un livello così basso. E’ venuta meno una delle principali fucine di metalli del passato, la marcia; non siamo stati in grado di schierare un solo azzurro nella maratona (clicca qui per l’analisi); nel mezzofondo e nella velocità siamo pallide comparse da quasi un ventennio. Non si comprende, poi, perché l’Italia non punti sui concorsi: salti, lanci, decathlon/eptathlon. Su questo tipo di gare nazioni come la Germania costruiscono dei medaglieri sontuosi (clicca qui per l’approfondimento). Noi, invece, ci ostiniamo a snobbarle: questione di cultura?

Nel complesso, dunque, si comprende come l’argento di Valeria Straneo nella maratona femminile sia giunto come un dono totalmente inaspettato, la classica manna dal cielo. L’impresa della 37enne piemontese ha evitato l’onta di uno zero che, come detto, sarebbe stato assai preventivabile, ma non cancella per niente i problemi di un’atletica tricolore sempre più moscerino al cospetto dei giganti mondiali.

Eppure, a breve medio termine, esistono i presupposti per sperare in un miglioramento, perlomeno se si parla di singoli. Alle Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016, infortuni permettendo (purtroppo la nostra nazionale paga spesso dazio a questi contrattempi: solo un caso?), la selezione tricolore potrà presentarsi con alcuni talenti cristallini in grado di ambire a tre medaglie complessive: Daniele Greco nel triplo, Alessia Trost nell’alto e le ragazzine rampanti Roberta Bruni e Sonia Malavisi nell’asta femminile. Stiamo parlando di atleti che nascono con delle capacità fuori dalla norma, un dono di natura che non si ripete con costanza. Troppo spesso, infatti, l’errore è quello di valutare un intero movimento dal numero di medaglie in grado di conseguire.
Nel recente passato vi erano i vari Howe, Di Martino e Schwazer, ora questi potrebbero essere sostituiti dalla nuova generazione sopracitata, Il problema vero, tuttavia, sarà accrescere il livello medio dell’intera nazionale. In tante, troppe specialità siamo ormai assenti, senza contare che la stragrande maggioranza dei nostri atleti è stata eliminata sin dal primo turno a Mosca. Solo un problema di motivazioni o c’è anche dell’altro?

Di sicuro una delle soluzioni auspicabili sarebbe quella di affidare alcuni settori a delle guide straniere. I risvolti, oltre che nell’immediato, si vedrebbero nel lungo periodo, in quanto tali tecnici porterebbero in Italia le loro competenze ed esperienze, migliorando dunque anche quelle dei nostri allenatori. Rimanere ancorati al passato significa regredire giorno dopo giorno. Bisogna aprirsi al mondo. Prima che il mondo ci travolga.

federico.militello@olimpiazzurra.com

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