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Ciclismo

Rimonta per la gloria: Marco Pantani ad Oropa

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Ci sono immagini, momenti, situazioni che nessun appassionato di ciclismo potrà mai dimenticare. Pagine dorate dove l’immane fatica di questo sport si mischia con la gloria, dove ogni singola pedalata trascina l’atleta in questione di diritto nella storia. Marco Pantani ha avuto la fortuna di scriverne tante di queste pagine: dalla scalata di Montecampione all’impresa di Les-Deux-Alpes con la quale diede scacco matto ad Ullrich, passando per la memorabile vittoria di Oropa.

Oropa, appunto, santuario dedicato alla Madonna Nera in un’invidiabile posizione sopra Biella. Oropa, sede d’arrivo della quindicesima tappa del Giro d’Italia 1999, 30 maggio, 169 km dopo la partenza da Racconigi. Pantani è già in maglia rosa, conquistata il giorno prima a Borgo San Dalmazzo, nella frazione vinta dal Falco Paolo Savoldelli.

Per tutto il giorno, com’è consuetudine in quegli anni, una chiazza gialla protegge la rosa: sono i fidati compagni della Mercatone Uno attorno al loro capitano, tutti assieme come i più fedeli e degni scudieri, diretti in ammiraglia da quel santone di Beppe Martinelli. Si arriva all’imbocco della salita, gruppo compatto anche grazie al perfetto lavoro della Mercatone; sembra tutto pronto per il consueto copione, scatti e controscatti del Pirata fino a quando arriverà il momento di non guardarsi più indietro, fino a quando gli applausi della folla scandiranno le sue pedalate sino a sotto la linea d’arrivo. A circa otto chilometri e mezzo dal traguardo, in una spianata nei pressi di Cossila San Grato, succede l’imprevedibile: la Bianchi di Pantani ha un problema, è saltata la catena. Passa poco più di mezzo minuto, è provvidenziale l’intervento dell’assistenza Shimano, poi Marco può ripartire. Ma davanti sono passati tutti. Quando riparte, infatti, prima di lui ci sono quarantanove corridori. E la strada inizia a salire.

Marco Velo, Simone Borgheresi, Enrico Zaina, Massimo Podenzana e Stefano Garzelli, i più montanari dei suoi fedelissimi, rallentano e lo aspettano. Formano un treno di sei vagoni, che decide di spingere come se quella fosse l’ultima corsa, a rischio di deragliare. Tutti sui pedali, tutti scalatori, tutti con un cuore più grande delle gambe. Il Pirata e i suoi nocchieri vanno all’arrembaggio, scalano una posizione dopo l’altra, non guardano in faccia nessuno…e nessuno riesce a tenere la loro ruota indiavolata. Uno strappo dopo l’altro, anche il treno giallo-rosa, ovviamente, perde qualche vagone, dopo aver esaurito le ultime riserve di energia: le volate finali sono quelle di Zaina e Velo. Incrociano anche El Chaba Jiménez, che qualcuno ha ribattezzato il Pantani di Spagna per la sua capacità di fare poesia sulle montagne, ma che oggi non è in giornata. Non può nulla neanche lui contro questi tre vagoni impazziti. Parecía un condor”, “sembrava un condor”, dirà più tardi Hernan Buenahora, un altro bel grimpeur risucchiato dall’ira dei Mercatone. Marco Velo cede per ultimo, di schianto: mancano poco più di cinque chilometri, davanti una quindicina di corridori.

Pantani è solo. Ma non si ferma. Va più forte di prima, è in totale trance agonistica. Ai -4, al comando ci sono Laurent Jalabert, Nicola Miceli e Ivan Gotti; il romagnolo supera Roberto Heras, Gilberto Simoni e Paolo Savoldelli a doppia velocità e si lancia all’inseguimento. Il tempo di un amen e anche Gotti e Miceli si vedono sorpassati da quella furia, impotenti, quasi ammirati da tale spettacolo. Una manciata di secondi più avanti, Jaja Jalabert. Lungo un muro di pietra, l’ultimo sorpasso, l’ultimo allungo. E mancano ancora tre chilometri al traguardo.

Quei tremila metri verso il cielo sono un tuffo nella gloria, tra i flash impazziti dei fotografi e tifosi con le lacrime agli occhi. La sua pedalata non accenna a diminuire di intensità: continua a correre come se davanti ci fosse ancora qualcuno da riprendere. L’ultimo rettilineo, le mani basse per forzare come in una volata, il sudore che gronda dall’indimenticabile pelata, il tripudio generale: lì, davanti alla Chiesa Nuova, simbolo di fede religiosa, anche la fede nello sport ha un sussulto incredibile ed emozionante, tra sacro e profano. Non esulta nemmeno, convinto di non avercela fatta, convinto che qualcuno fosse riuscito a sfuggire alla sua rete; ma non è così. Marco Pantani vince la tappa di Oropa con 21” su Laurent Jalabert. Ma le parole sono superflue. Questo video racconta tutto, senza bisogno di ulteriori commenti:

foto tratta da italanews.info

Liberamente tratto da “Appena sotto il cielo” di Fabio Marzaglia, ed.BradipoLibri, Torino, 2005

marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

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