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Ciclismo

Lance Armstrong: “Il doping era come mettere aria nelle gomme”

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Ci si aspettava qualcosa in più. Invece la prima parte dello show è stata leggermente sottotono rispetto alle enormi attese che si erano poste sull’evento che ha tenuto incollato davanti al televisore milioni di statunitensi (e non solo). La prima parte dell’intervista di Lance Armstrong durante la trasmissione di Oprah Winfrey ha confermato sostanzialmente le anticipazioni fuoriuscite negli ultimi giorni. Domande poco aggressive (probabilmente concordate in precedenza), che non hanno graffiato su certi aspetti, forse i più cruciali di tutta la vicenda, che non sono entrate abbastanza in profondità e che non hanno tirato fuori da Lance tutto quello che aveva da dire/dare.

Soprattutto il ciclista si è dimostrato tutt’altro che pentito, rimanendo freddo per tutti i novanta minuti del programma (di cui almeno un terzo spesi in pubblicità, addirittura nella seconda parte i blocchi duravano meno di sei minuti): l’emblema nel secco “No” con cui ha risposto alla domanda “Sentivi che stavi barando?”. Ci si aspettava anche qualche nome in più, qualche dettaglio che invece non è stato svelato perché “non mi ricordo”. I buchi di memoria sono stati troppi per essere veri. Di certo si è mosso con perizia, con la stessa glacialità che lo contraddiceva in corsa.

 

Le prime quattro domande sono state brucianti. Un aut aut, un sì o no a cui l’ex Campione non si è potuto sottrarre. “Hai fatto uso di pratiche dopanti per alterare le tue prestazioni ciclistiche”. Risposta: “Yes”. Oprah incalza: “Hai quindi fatto uso di EPO?”. Testa china: ancora “Yes”. La regina dei talk show non si ferma: “Quindi hai adottato anche testosterone, cortisone ed altre sostanza”. Il viso pallido del texano risponde da solo con un altro Sì. Per poi chiudere: “Hai alterato le tue prestazioni durante tutti e sette i Tour de France che hai conquistato?”. E qui la confessione finale che tanto aspettavamo: “Sì!”. Poi la frase che riassume tutta la sua storia: “Era tutto perfetto. Una carriera perfetta, uscito da un cancro, un matrimonio perfetto… Ma era tutto finto!”.

 

Poi ha deciso di approfondire il discorso ed è partito un primo attacco al sistema: “E’ stato solo un mio errore, un mio sbaglio, non posso dire se sia possibile vincere una corsa così importante senza doping”. Continua, però, dicendo che “nella mia generazione era praticamente impossibile fare qualcosa di importante senza fare uso di certe sostanze” e che “nei miei sette Tour sui 200 corridori iscritti forse solo cinque erano puliti”. Il suo cocktail vincente? “EPO, trasfusioni e testosterone. Senza paura di essere beccato”.

Per quanto riguarda il doping non avevo un vantaggio rispetto agli altri, eravamo tutti sullo stesso piano. La cosa importante è che sto cominciando a capire quello che ho fatto. Vedo la rabbia delle persone che ho deluso. Si sentono traditi e hanno ragione, è colpa mia. Passerò il resto della mia vita a scusarmi con queste persone. Sono più felice adesso di prima, in tutta onestà. Oggi sono più felice di ieri”. L’ammissione di colpevolezza c’è, come c’è anche una lieve richiesta di perdono ma sulla sincerità si può discutere…

 

Ha poi ammesso “di aver iniziato col doping già a metà degli anni novanta (quindi ben prima che gli venisse riscontrato il cancro, ndr)” e “di aver chiuso col 2005. Quella è stata la mia ultima volta. Nel mio ritorno nel 2009 e nel 2010 ero pulito”. Quindi il terzo posto al Tour vinto dal compagno Alberto Contador e la partecipazione al nostro Giro d’Italia che aveva bistrattato per tutta la carriera sarebbero incolpevoli. Dichiara di esser fermato perché “con l’introduzione del passaporto biologico tutto era più difficile. Non amo l’Agenzia antidoping, ma devo ammettere che questa è stata una grande invenzione. Funziona!”.

 

Da molte parti giungevano critiche sul suo rapporto con la squadra (la Us Postal). Armstrong si è difeso: “Non obbligavo assolutamente nessuno a doparsi. Non è affatto vero che non invitavo alcuni compagni al Tour o che li escludevo. Come non è vero che io abbia mai chiesto licenziamenti. Non sono certamente la persona più credibile del Mondo, ma non ho mai spinto nessuno a doparsi”.

 

La parte più sconvolgente arriva a metà trasmissione: “Col doping, come col cancro, non ero io a controllare. Avevo perso il controllo di me stesso. Per me il doping faceva parte del lavoro. Per noi il doping era come mettere aria nelle gomme o acqua nelle borracce”. Dichiarazioni forti, pesanti e triste. Le uniche davvero incisive di tutta la serata, visto che descrivono in maniera raccapricciante tutta la vicenda.

Qui Oprah chiede qualcosa in più sul “Dottor” Ferrari. Il nulla. Se ne esce con tre minuti di chiacchiere che non portano assolutamente a niente.Ci sono persone in questa storia che non sono assolutamente dei mostri: Michele Ferrari è una brava persona, una persona intelligente. Ferrari non è il gran capo, la mente del doping di squadra. Non sono a mio agio a parlare del comportamento di altre persone”. Non si è insistito e si è mandato un break… Proprio su questo punto noi italiani aspettavano qualcosa di forte, di chiarificatore che purtroppo non è arrivato. Sorvolo generale…

 

La spiegazione di come ha fatto a passare tutti i test antidoping: “Li ho passati tutti perché non c’era nulla nel mio metabolismo durante le gare. La storia sul mio test positivo al Giro di Svizzera non è vera. Non ci fu nessun meeting segreto con il direttore del laboratorio antidoping, e l’Uci non ha fatto sparire quel test. Mi hanno chiesto una donazione e io l’ho fatta, senza avere nulla in cambio. Nulla a che vedere con il Giro di Svizzera”.

 

Sul finale traspare di una piccola commozione: “La mia reazione all’indagine condotta dall’Usada (è stata quella di combatterla, come ho sempre fatto. Sinceramente, oggi dico che avrei voluto reagire in modo diverso. Mi piacerebbe poter tornare a quel giorno, ma non posso”.

 

Nella notte di domani la seconda e ultima parte.

 

stefano.villa@olimpiazzurra.com

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