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MotoGP, di fronte ai track limits “qualcuno è più uguale degli altri”? I casi di Acosta e Binder fanno storcere il naso

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Brad Binder

“La legge è uguale per tutti” si legge a caratteri cubitali in qualsiasi aula di tribunale. Però, come insegna George Orwell nel suo racconto ‘La fattoria degli animali’, talvolta “qualcuno è più uguale degli altri”. Perché le leggi saranno anche scritte nero su bianco, ma vanno applicate e interpretate. Soprattutto quando si entra in una zona grigia. Anzi, in questo caso verde. Il fatidico “verde” che nel Motomondiale rappresenta i cosiddetti track limits.

Al riguardo, è doveroso tornare su quanto accaduto domenica 25 giugno ad Assen, perché il metro di giudizio applicato dalla Race Direction nel giudicare due episodi non è stato il medesimo. Durante la gara di Moto2, Pedro Acosta è stato penalizzato con una long lap penalty per aver ecceduto i limiti del tracciato. Il diciannovenne spagnolo ha sì scontato la sanzione, ma nel farlo ha tenuto una traiettoria strettissima, dando la marcata impressione di passare sul verde all’interno della ‘bretella’ adibita all’ottemperare la penalità.

Tutti si aspettavano che all’iberico venisse imposta la ripetizione del “giro lungo”, come capita a chiunque non l’adempia correttamente. Invece niente, i commissari hanno considerato legale il passaggio al limite del murciano, scatenando l’ira di diversi team manager, a cominciare da quelli dei Team Speed Up e Marc VDS Racing, parti in causa in maniera diretta (Fermin Aldeguer avrebbe chiuso terzo anziché quarto) e indiretta (Tony Arbolino è il contendente di Acosta per il titolo cadetto).

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Gli steward hanno rigettato le proteste trincerandosi dietro a una “prospettiva ingannatrice” delle immagini televisive. Insomma, si è entrati nel campo del dibattibile. Però, poco meno di due ore dopo, Brad Binder si è visto privato del terzo posto nella gara di MotoGP per aver violato i track limits nel corso dell’ultimo giro. In questo caso, senza se e senza ma. Non c’è stata alcuna interpretazione, BB33 è stato declassato senza possibilità di replica. Per maggior comprensione, viene allegato screenshot delle riprese dei due episodi. I video sono disponibili su YouTube e possono essere verificati da chiunque (Acosta, Binder).

Ognuno si faccia la sua idea. Indipendentemente da essa, è doveroso mettere il dito nella piaga. Perché nel caso del quasi ventottenne sudafricano non c’è alcun dubbio in merito alla penalità, mentre per il teenager spagnolo si deve scadere nell’ambito dell’interpretazione? Se ci sono imparziali giudici tecnologici, perché non vengono installati in ogni punto sensibile della pista, compreso il long lap penalty? Se invece il giudizio deve essere umano, perché nell’affaire Acosta si è seguito un metro lassista, quando viceversa domina il rigore?

Recriminazioni e proteste sui casi di specie sono ormai vane. L’acqua è ormai passata sotto i ponti olandesi. Cionondimeno, questa dovrebbe essere l’occasione per riflettere e discutere dell’accaduto. Più delle norme, è la loro applicazione che deve essere univoca e limpida. Sia essa flessibile o draconiana importa relativamente. Conta che sia sempre la stessa, allo scopo di evitare la sgradevole sensazione che la legge sia uguale per tutti, ma che qualcuno sia più uguale degli altri. Proprio quell’antipatica impressione lasciata in eredità dai fatti Assen.

Moto: LiveMedia/Valerio Origo

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