Biathlon

OSCAR 2016 – Lo Sportivo Italiano dell’Anno è… La top 15 di OA: Bracciate Imperiali, un doppio oro, stoccate ed emozioni

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Il 2016 è stato un anno meraviglioso per lo sport italiano che ha vissuto e ammirato tantissimi successi. Come da tradizione OASport conferisce i suoi premi e onora i migliori atleti azzurri della stagione che si sta per concludere con i consueti Oscar.

Arriva il momento della speciale classificata riservata al miglior sportivo italiano dell’anno. Una top 15 tutta azzurra, dei nostri migliori 15 rappresentanti, quelli che hanno regalato più emozioni e trionfi.

Per conoscere la top 15 del miglior sportivo italiano dell’anno clicca in ordine sulle pagine 2, 3, 4 e via dicendo. Dalla quindicesima alla prima posizione, per scoprire dal basso verso l’alto la nostra speciale classifica.

 

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DOROTHEA WIERER

 

Occhi blu color ghiaccio. Freddezza glaciale. Calda passione che fa innamorare. Il fascino della paladina della sua disciplina per i colori azzurri. In Italia è scoppiata la Biathlon Mania, nella nostra Nazione questo sport torna a esplodere e a rivivere di luce proprio anche presso il grande pubblico grazie alle imprese di una bella, brava, talentuosa ragazza: il suo fisico l’ha resa celebre anche presso il grande pubblico, il suo agonismo e la sua classe sportiva l’hanno porta a scalare l’Olimpo dei volti più noti nel circuito.

Dorothea Wierer è diventata la biathleta italiana capace di salire sul podio per il maggior numero di volte, ha vinto la Coppa del Mondo dell’individuale (con due vittorie nel format), ha trascinato la staffetta alla vittoria nella tappa di Hochfilzen, il successo nella mass start di Canmore e il terzo posto nella classifica generale certificano una stagione da record per la Doro che ora punta dritta ai Mondiali 2017 e alle prossime Olimpiadi.

 

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FEDERICO PELLEGRINO

 

Camoscio delle Alpi. Si arrampica su vette inesplorate, saltella verso traguardi immacolati, pianta la bandiera italiana sulle cime più alte degli sport invernali. Il Re dello Sci di Fondo azzurro si consacra, domina letteralmente le sprint, macina record su record, si mette in mostra firmando cinque vittorie di tappa, brilla a Lenzerheide, firma un’epica doppietta nel giro di sei giorni tra Davos e Dobbiaco, plana su Planica (dove vince anche in coppia con Dietmar Noeckler) e si prende addirittura il lusso di vince in tecnica classica a Canmore, quando ipoteca la conquista della Coppa del Mondo di sprint, primo azzurro di sempre capace di coccolare la Sfera di Cristallo.

Un personaggio a tutto tondo, accompagnato da un talento cristallino curato meticolosamente, lustrato al meglio, accompagnato da una forma sbalorditiva che si è prolungata per tutto l’arco della stagione, culminata con la realizzazione di quel sogno che inseguiva fin da piccolo. Il Predatore delle Piste divora gli avversari e si consacra nella cornice a lui più congeniale.

 

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FEDERICO MORLACCHI

 

Il poker firmato alle Paralimpiadi di Rio 2016 merita assolutamente un posto nella top 15 degli sportivi italiani dell’anno. Quattro firme d’autore che consacrano ulteriormente il 22enne varesino: Campione sui 200m misti poi un triplo argento tra 100m farfalla, 100m stile libero, 100m rana. Uno show di classe cristallina che lo fa diventare uno dei migliori nuotatori paralimpici della nostra storia.

La sua ipoplasia congenita al femore sinistro non gli ha impedito di poter essere uno sportivo di riferimento grazie a un talento innato e a tanta forza di volontà.

 

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ALEX ZANARDI

 

Un highlander, nel fisico e nella mente. Sembra l’Uomo di Ferro, indistruttibile e inscalfibile. Un esempio di come un evento che sconvolge la nostra vita può trasformarsi in qualcosa di positivo, in grado di regalarci gioie e successi.

Alex Zanardi ha 50 anni ma il fisico, la voglia e il cuore di un ragazzino al suo primo amore che non si arrende davanti a nulla e va avanti per la sua strada. Un paladino moderno, un eroe dei nostri giorni, un superuomo del 2016 che alle Paralimpiadi si mette al collo 2 ori e 1 argento, proprio come a Londra 2012.

A 15 anni dal terribile incidente automobilistico che gli ha amputato gli arti inferiori, Alex recita nuovamente da assoluto protagonista con la sua handbike ed emoziona tutti a Rio, dominando la crono e trionfando con i compagni in una staffetta da leggenda.

Le sue perle di saggezza sono un esempio per le generazioni future: personaggio a tutto tondo che dà lustro all’Italia intera.

 

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TANIA CAGNOTTO

 

La leggerezza di una libellula, l’eleganza di una fata, la destrezza di una lince, la maturità di una ragazza semplice e genuina quanto Campionessa nello sport e nella vita. Di voli ne ha spiccati tanti, un airone che ha sempre guardato lontano, un’aquila che non si è mai fermata alle cose facili, un fringuello capace di domare l’aere e l’acqua con una classe innata.

Tania Cagnotto ha rivoluzionato la storia dei tuffi italiani, si è spinta verso traguardi che il nostro Paese non aveva mai gustato al femminile e per l’ennesima volta ci ha fatto piangere. Perché quando sale su un trampolino c’è sempre una lacrima che sgorga dai volti di chi si è appassionato ai tuffi proprio grazie a lei, la Reginetta di Bolzano che finalmente si è consacrata all’immortalità sportiva.

A Londra 2012 pianse lacrime amare per quei quarti posti che le tolsero il tanto agognato podio a cinque cerchi. La voglia di smettere, di mollare tutto, di abbandonare quella che per anni era stata la sua vita. Poi la convinzione di poter piazzare il colpaccio alle Olimpiadi 2016. Rio l’ha aspettata, l’ha coccolata, l’ha cullata, l’ha amata come le spettava. La sua squisitezza, la sua dolcezza, la sua capacità di far sembrare tutto così semplice hanno da sempre fatto breccia nel cuore degli italiani che l’hanno accompagnata su quel podio, verso addirittura due medaglie stupende: il bronzo nel trampolino da 3m a livello individuale, l’argento nel sincro in coppia con Francesca Dallapè, l’amica di una vita.

L’anno scorso il trionfo mondiale sconfiggendo le imbattibili cinesi da 1m, nel 2016 una doppietta a cinque cerchi impareggiabile con cui può davvero ritirarsi in pace (a meno che ci ripensi in futuro?). La Regina ha battuto ancora un colpo ed entra di diritto tra i migliori sportivi di tutti i tempi, nella top 15 per la stagione che volge al termine.

 

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PETER FILL

 

“I Fill Good”. Tocca traguardi inesplorati alle nostre latitudini, entra nella nostra storia come il “primo a riuscirci”, diventa leggenda vivente nello sci alpino italiano, entra nella ristrettissima cerchia dei Campionissimi della neve capaci di riscrivere le Bibbie del movimento.

Nessun italiano in mezzo secolo di Coppa del Mondo era mai riuscito ad alzare al cielo la Sfera di Cristallo di discesa libera. Neppure i miti della Valanga Azzurra avevano firmato l’impresa. Sì la generale, mai il pettorale rosso della prova più veloce e da brividi. Brividi che Peter Fill ci ha fatto passare per tutta la stagione, conclusa in maniera trionfale con la conquista della Coppetta.

Il favoritissimo Svindal stava dominando la specialità ma si è infortunato durante la stagione, Peter ne approfitta e si consacra. La vittoria nella Classicissima di Kitzbuehel, l’Università della discesa libera, è una ciliegina sulla torta che giustifica da solo un’intera carriera. Immenso.

 

(foto Pentaphoto)

 

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ASSUNTA LEGNANTE

 

Il Cannoncino più delizioso d’Italia. La sua potenza si fonde con la sua dolcezza e la sua ilarità contagiosa. In una stagione molto complicata per motivi personali e fisici, Assunta Legnante non si è mai tirata indietro e ha sempre voluto completare la missione che si era prefissa già da tempo.

La Campionessa Paralimpica di Londra 2012 si presenta a Rio con tutti i favori del pronostico ma non è facile confermarsi. È gara vera prima della bordata che fa volare il peso della napoletana a 15,74m. La Maschera di Diabolik non nasconde le emozioni di una donna fantastica che con immensa forza di volontà ha saputo superare i propri limiti ancora una volta. Non solo il titolo della disciplina prediletta, quella che anche da normodotata le aveva regalato parecchie soddisfazioni ma anche il quarto posto nel lancio del disco. A 38 anni e da non vedente è ancora una volta immensa.

 

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DIANA BACOSI

 

Il simbolo delle mamme d’Italia, delle donne motore del nostro Paese che si dividono tra centinaia di impegni non fallendo mai l’obiettivo che si prefiggono, senza commettere errori, senza fallare un singolo colpo. Ogni occasione è buona per ottenere dei riconoscimenti, per dimostrare il proprio valore, spesso non riconosciuto pubblicamente, meno del dovuto.

In una indimenticabile Finale tutta italiana che dà una svolta importante all’intera spedizione italiana alle Olimpiadi di Rio 2016, Diana Bacosi si inventa il numero di gran classe che aspettava da tutta una vita: dopo 11 podi in Coppa del Mondo è arrivato il momento di vincere la gara più importante della carriera. I piattelli si frantumano sotto i suoi colpi, la terra non si sbriciola sotto i suoi piedi, il cielo sopra la sua testa si apre in uno squarcio che illumina il suo volto dorato dalle mille battaglia.

Dalle battute di caccia con papà Stanislao, colui che le ha inculcato la passione del tiro a volo, fino all’apoteosi nello skeet a cinque cerchi. Lei isolata da tutti, serena ma estremamente concentrata, capace di gestire lo stress, in solitaria per non emozionarsi troppo, con il suo Mattia e i genitori a casa a tifare per lei insieme al marito Vincenzo. “Sei tu la Campionessa Olimpica”, solo così ci si può credere dopo una vita di sacrifici che al termine del cammino ha regalato il premio più bello.

 

(foto Voice 2 Media)

 

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DANIELE GAROZZO

 

Il Salvatore della Scherma italiana, l’uomo che meno ti aspetti, un talento naturale che doveva soltanto esplodere. Lo ha fatto nel momento più importante della sua giovanissima carriera, esaltandosi in una giornata da lupi, nella prova individuale del fioretto che ha premiato la caparbietà

Daniele Garozzo ha vinto l’argento agli Europei 2015, ha contributo al trionfo iridato della squadra lo scorso anno ma non era certamente il favorito della competizione. Sbalordirà tutti, quasi dominando la competizione, asfaltando in semifinale il Campione del Mondo Safin e abbattendo il viceiridato Massialas nella finalissima per il titolo. Una cavalcata da vero numero 1, da Campione Olimpico navigato che ha poi perso il suo oro, scippato su un treno e poi fortunatamente ritrovato.

 

(foto Bizzi)

 

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GABRIELE ROSSETTI

 

Di padre in figlio. Un’eredità investita e fruttata, un patrimonio familiare migliorato, esploso. Un baule dorato contenente talento, classe, caparbietà che il 21enne ha svaligiato a Rio. Lo svedesone Marcus Svensson era una roccia, sembrava inscalfibile, non sbagliava mai ma la precisione inaudita del Figlio d’Arte era incrollabile.

Colpo su colpo in una Finale ad altissimo tasso tecnico, Gabriele Rossetti è irremovibile e l’avversario crolla. Campione Olimpico, lo skeet è azzurro, i piattelli si sbriciolano sotto la forza di volontà del toscano che riporta il suo cognome su un podio a cinque cerchi dopo 24 anni: quando non era ancora nato, suo papà Bruno conquistò il bronzo a Barcellona 1992 sempre nello skeet. Di padre in figlio.

 

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BEATRICE “BEBE” VIO

 

In un mondo sempre più vorticoso, sempre più confuso, sempre più rapido, non è facile rimanere ancorati ai valori di un tempo. Uno sportivo non deve semplicemente limitarsi a vincere e a fare bella figura nella sua disciplina ma soprattutto deve essere un esempio per noi comuni mortali, semplici osservatori di gesta che sembrano impossibili. I più piccoli aspirano come spugne dai numeri dei grandi Campioni che spesso diventano idoli, modelli, fari da seguire.

Bebe Vio è nella top 15 degli sportivi italiani non solo perché ha dominato i Giochi Paralimpici, demolendo le avversarie con il suo fioretto (oro nella prova individuale, spettacolare bronzo nella gara a squadre con una rimonta finale davvero epocale) ma perché con il suo essere incredibilmente “adolescente dei giorni nostri” ha saputo farsi apprezzare e amare anche da chi segue poco lo sport.

Un idolo fuori dalle pedane, conosciuta dalle mamma e dai bambini, una ragazza della porta accanto che tutti vorrebbero avere come amica, come confidente, come vicina, come sorella, come figlia. Semplicemente unica nella sua trascinante simpatia frenetica e coinvolgente, tanto che pure Barack Obama ne è rimasto colpito. Il selfie rubato al Presidente degli Stati Uniti d’America ha letteralmente fatto il giro del mondo, uno scatto che non si sarebbe potuto fare ma per Bebe nulla è davvero impossibile.

Diciannove anni e una vita ricca, vissuta appieno, in ogni singolo momento. Dalla meningite fulminante che le ha portato via quattro arti fino alla consacrazione sportiva e umana, passando per un lungo periodo di riabilitazione e tante battaglie vinte. Sprizza vita da tutti i pori, è così contagiosa che scalda soltanto al guardarla.

Scelta da Matteo Renzi per la cena di rappresentanza alla Casa Bianca, eccellenza italiana che ci rende orgogliosi in tutto il mondo. La sua campagna pro vaccino, il suo impegno nel sociale, le sue battute (la protesi prestata per un selfie in occasione del Grand Prix della Ginnastica è stato un altro momento indimenticabile), due medaglie olimpiche: indiscutibilmente la Regina dello Sport Italiano nel 2016.

 

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FABIO BASILE

 

L’oro numero 200 dell’Italia ai Giochi Olimpici. Una cifra tonda che riempie la bocca, gonfia il petto, fa palpitare il cuore, raggela il sangue, fa alzare le braccia al cielo in segno di gloria, ci lascia di stucco e increduli proprio come l’impresa di un esemplare Samurai venuto dal Mediterraneo.

Fabio Basile ha riportato il judo italiano sul Trono a Cinque Cerchi, in Cima all’Olimpo degli imbattibili, indomito guerriero che ha ribaltato le gerarchie abbattendo qualsiasi ostacolo gli si ponesse dinnanzi. Un carrarmato, un rullo compressore, uno tsunami che travolgeva progressivamente le stelle della sua categoria, correndo possente verso l’oro bramato.

Si è qualificato all’ultimo assalto utile, ha preso l’aereo per Rio, è sceso sul tatami e ha iniziato una progressione al limite del surreale. Una serie di ippon impossibili, una tecnica d’eccellenza sciorinata nel contesto maximo dell’arte del combattimento. Campione Olimpico dei 66kg (epocale l’ippon dopo 84 secondi inflitto al Campione del Mondo nella Finalissima), senza se e senza ma: dopo 16 anni l’Italia ritornava sul gradino più alto del podio a cinque cerchi tra gli uomini. Quando Maddaloni si consacrava a Sydney, il piccolo Fabio aveva appena sei anni ma quei ricordi rimangono indelebili.

Basile è poi diventato subito un personaggio: bello come il sole per le ragazze, simpatico e affabile davanti alle telecamere, pronto per un futuro televisivo (dovrebbe partecipare a Ballando con le Stelle e lui vorrebbe avere un ruolo nella serie Gomorra). Sempre con un oro al collo.

 

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ELIA VIVIANI

 

Il sapore della vittoria, pregustata metro dopo metro, assaggiata per due giorni, inseguita per un quadriennio, assaporata dolcemente dopo che per un istante tutto sembrava sfumato e volato via per sempre, a terra insieme alla sua bicicletta. Un uomo e il suo mezzo, in solitudine, una testa e due pedali sono un motore oliato alla perfezione che non è mai andato fuori giri, preciso come un robot della Silicon Valley venuto dal Veneto.

Elia Viviani ha firmato una delle più belle imprese dell’anno per lo sport italiano, un cioccolatino che ha riscritto le pagine del nostro ciclismo su pista, smarritosi nell’ultimo decennio e svegliatosi grazie all’ardore di un 27enne quadrato, meticoloso, bravo a dividersi con la sua attività su strada e a credere fino in fondo nell’immortalità olimpica dopo la delusione di Londra 2012.

Omnium, di tutto e di più. Emozioni contrastanti, paure, timori, certezze svanite, riconfermate in un susseguirsi di sei gare che premia la completezza del Velodromo. Gaviria, Cavendish, Hansen, Boudat: nomi grossi da affrontare, messi in fila uno a uno dall’azzurro che riporta l’Italia sul podio olimpico della pista dopo un digiuno infinito.

La corsa a punti finale, con la caduta e i vari sprint vinti, ha scaldato un’intera Nazione in prima serata e lo ha spinto verso l’apoteosi finale. Gli ultimi dieci giri, con l’oro già al collo, sono stati l’emblema della commozione pura.

 

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NICCOLÒ CAMPRIANI

 

“He shot me down. Bang, bang”. Le sue armi sono d’oro massiccio, potenza di fuoco inaudita, occhio di lince, freddezza glaciale, battiti cardiaci regolati per fare centro. I suoi. Perché quelli del popolo azzurro sentivano brividi sulla schiena a ogni sparo, tesi come una corda di violino, timorosi che il proiettile finisse dove non doveva.

Niccolò Campriani è stato l’unico italiano capace di conquistare due medaglie d’oro alle Olimpiadi di Rio 2016, entrando di diritto nella leggenda del tiro a segno (terzo titolo a cinque cerchi considerando anche l’apoteosi di Londra 2012) e dello sport azzurro in generale.

Nella carabina da 10 metri non ce n’è stato davvero per nessuno. Una perfezione inaudita che gli ha permesso di laurearsi Campione Olimpico con tanto di record della rassegna e sei giorni dopo succede l’inimmaginabile. Deve difendere l’oro della carabina 50 metri 3 posizioni, il duello con Sergey Kamenskiy è snervante e sul finale Nicco cede psicologicamente sparando un brutto colpo. Sembra tutto finito ma il russo farà clamorosamente peggio (surreale 8.1) e Campriani si conferma. Bang, bang a tutti.

 

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GREGORIO PALTRINIERI

 

Dominatore dell’acqua, generatore del calore che emoziona i nostri cuori per ogni sua azione, fulmineo come il vento, con i piedi ben piantati per terra. Come un novello Nettuno capace di dettare legge su tutto quello che si muove in vasca, meraviglioso Dio del nuoto italico all’ombra del Cristo Redentore.

Campione Olimpico in una delle notti più belle della storia del nostro sport, bracciate ampissime, una nuotata imperiale, degna di Gregorio Magno. Paltrinieri ha strappato la distanza più lunga, si è divorato i 1500m di Rio, dominando dal primo all’ultimo centimetro di una gara che l’ha incoronato nell’empireo dei grandissimi, degli inarrivabili, degli inimitabili.

La sua ineguagliabile tecnica di fianchi, i muscoli virgulei del tronco, la classe mista a potenza calibrata e a un’eccellente efficienza lo incoronano come l’icona del nuoto italiano, come Sportivo Italiano del 2016 al termine di una stagione davvero leggendaria e ai limiti della perfezione.

Campione Olimpico come solo Domenico Fioravanti, Max Rosolino (entrambi a Sydney 2000) e Federica Pellegrini (a Pechino 2008) erano stati capaci nella nostra storia. A 22 anni è già un pilastro, un idolo, un modello per le generazioni future, quelle che davvero vogliono fare i sacrifici per arrivare dove sempre hanno sognato. Ha sfiorato il Record del Mondo, ancora detenuto da quel Sun Yang miseramente eliminato in batteria e che Greg aveva già demolito psicologicamente ai trionfali Mondiali di Kazan 2015: 14:34.57, a 3 secondi e mezzo dal cinese, terzo crono di tutti i tempi. Sconfitti Connor Jaeger e il suo “gemello diverso” Gabriele Detti.

La Tripla Corona vola a Carpi perché, prima dei Giochi, Paltrinieri aveva scaldato i motori trionfando agli Europei di Londra, dove realizzò il suo personale di 14:34.04. La “macchia” finale dei Mondiali in vasca corta di Windsor (argento alle spalle del sudcoreano Park, già squalificato in passato per doping) non cambia la storia di Gregorio Paltrinieri, il Miglior Sportivo Italiano del 2016.

 

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