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Storia delle Olimpiadi: Klaus Dibiasi, il tuffo nel mito dell’Angelo Biondo

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“I tuffi prima di lui erano un’altra cosa. Klaus li ha cambiati, come i Beatles hanno cambiato la musica”.
Basterebbe questa affermazione dell’amico-rivale Giorgio Cagnotto per spiegare la rivoluzione portata da Dibiasi nel mondo dei tuffi. L’Angelo Biondo di Bolzano ha letteralmente inaugurato una nuova era, soprattutto in materia di ingresso in acqua, aprendo la strada a tutti i fuoriclasse venuti dopo di lui. I pochi schizzi sollevati contribuivano a convincere i giudici della validità della sua esecuzione, d’altronde, l’invasione cinese non era stata ancora messa in preventivo…

Klaus Dibiasi era dotato di un fisico statuario e di una tecnica sopraffina, basata sulla torsione del polso al momento dell’entrata in acqua e studiata insieme al padre-allenatore, Carlo, piattaformista che partecipò ai Giochi olimpici di Berlino nel 1936. Nato nel 1947 a Solbad Hall, in Austria, Dibiasi è l’unico tuffatore al mondo ad aver vinto tre Olimpiadi consecutive nella stessa specialità (piattaforma 10 metri) nonché l’unico atleta italiano, insieme a Valentina Vezzali fra le donne, ad aver vinto tre Olimpiadi nella stessa specialità in uno sport individuale.

L’influenza di suo padre fu decisiva: a dieci anni Klaus iniziò già a bazzicare le piscine, colse la prima vittoria internazionale nel 1963, a sedici anni non ancora compiuti, quando conquistò la medaglia d’oro dalla piattaforma ai Giochi del Mediterraneo. Appena diciassettenne entrò nel giro della nazionale e in una manifestazione organizzata nella sua Bolzano riuscì ad ottenere la qualificazione per i Giochi di Tokyo ‘64. In Giappone la gara dai dieci metri iniziò nel peggiore dei modi; dopo le prime due prove era solo diciottesimo, ma il mattino dopo riuscì a stupire tutti, elevando notevolmente il coefficiente dei tuffi, fino a quel momento piuttosto basso, e risalendo in ottava posizione. Nel pomeriggio il bolzanino strappò la prima posizione temporanea all’americano Bob Webster, campione in carica e grande favorito, il quale fu capace di rieffettuare il sorpasso decisivo, conquistando di nuovo l’oro olimpico.

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A Città del Messico, quattro anni dopo, i pronostici erano tutti per l’azzurro, anche se il suo avversario più accreditato, il messicano Alvaro Gaxiola, poteva contare sul rumoroso tifo del pubblico di casa, fattore spesso non irrilevante in sede di valutazione da parte dei giudici. Contrariamente a quanto avvenuto a Tokyo, Klaus Dibiasi iniziò subito la gara della piattaforma con dei coefficienti di difficoltà elevati e per tutta la durata delle eliminatorie i due atleti si alternarono nelle prime due posizioni della classifica. La differenza la fece il salto mortale e mezzo in avanti con tre avvitamenti, tuffo che il Nostro eseguì in modo perfetto ottenendo così il meritato alloro a cinque cerchi. In Messico Klaus vinse anche l’argento dal (mai troppo amato) trampolino.

A Monaco di Baviera, nel 1972, Dibiasi concesse il bis, vincendo davanti al sovietico David Ambarcumian e ad un febbricitante Giorgio Cagnotto, mentre nel 1976 a Montréal – dove fu l’alfiere dell’Italia -, nonostante una condizione fisica tutt’altro che ottimale, riuscì ancora ad imporsi su tutti, seguito da quello che sarebbe diventato il suo degno erede: Greg Louganis. In Canada, l’altoatesino aveva ventinove anni e fu l’unico atleta italiano a rispettare le speranze della vigilia (appena due ori per il nostro medagliere finale, l’altro conquistato a sorpresa dal fiorettista diciannovenne Fabio Dal Zotto, ndr), suggellando una carriera semplicemente inimitabile con il tris olimpico dalla solita piattaforma. L’Angelo Biondo si scatenò in gara dopo essersi sottoposto a lunghe e dolorose sedute fisioterapiche, a causa di acciacchi vari che ne avevano addirittura messo in dubbio la partecipazione ai Giochi. Fu la sua ultima gara, chiusa con ben 600 punti, record mondiale e olimpico, dominando, vale a dire nel solo modo che conosceva da ormai 8 anni.

Tre ori e due argenti in quattro Olimpiadi, due titoli mondiali, tre europei, diciotto campionati italiani assoluti e undici indoor, allenatore della squadra olimpica italiana a Mosca, Los Angeles, Seul e Atlanta. Presente dal 1981 nella International Swimming Hall of Fame, il massimo riconoscimento internazionale per gli sport acquatici.
I suoi tuffi ne fanno tuttora il supremo ginnasta dell’aria che spegne docilmente l’acrobatico volo nell’elemento primigenio, sfidando le leggi della fisica e l’inesorabile incedere del tempo.

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Storia delle Olimpiadi, quarta puntata: Pietro Mennea
Storia delle Olimpiadi, quinta puntata: Abebe Bikila
Storia delle Olimpiadi, sesta puntata: il massacro di Monaco 1972
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