Pallavolo

Italia e l’ultimo tabù da sfatare. L’errore da non ripetere sull’ossessione dell’oro olimpico. Velasco docet…

Enrico Spada

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Italia/Fivb

L’Italia della pallavolo maschile ha appena riscritto un’altra pagina di storia. A Manila gli azzurri hanno alzato al cielo il quinto titolo mondiale, il secondo consecutivo, confermando una leadership che oggi nessuno può mettere in discussione. Una cavalcata straordinaria che si aggiunge a un palmarès impressionante fatto di ori mondiali, europei e trionfi in Nations League. Eppure, nell’immaginario collettivo e nella bacheca della Federazione, manca ancora una coppa che pesa come un macigno: quella olimpica.

Un tabù che resiste da oltre trent’anni, da quando la generazione dei fenomeni, guidata da Julio Velasco, aveva posto le basi per un dominio tecnico e culturale sul volley internazionale. Quella squadra seppe vincere tutto, ma inciampò sempre nell’ostacolo a cinque cerchi. Due volte con l’Olanda, nel 1992 a Barcellona e nel 1996 ad Atlanta, quando l’Italia partiva favorita e si ritrovò a mani vuote sul gradino più alto del podio. Una ferita che ancora brucia e che deve servire da lezione alle generazioni successive: il rischio di trasformare il sogno olimpico in ossessione è reale e può diventare un boomerang psicologico.

Oggi la Nazionale di Ferdinando De Giorgi è una squadra giovane, moderna, equilibrata, che ha appena dimostrato di poter vincere anche senza un leader assoluto, grazie alla coralità e alla solidità del gruppo. Giannelli, Romanò, Michieletto, Bottolo, Russo, Anzani e Balaso, oltre a Lavia, assente nelle Filippine ma protagonista assoluto in azzurro, sono i volti di una generazione che ha già scritto la storia, ma che inevitabilmente avrà il pensiero rivolto a Los Angeles 2028, quando potrebbe arrivare la chance più concreta di chiudere il cerchio. Il percorso, però, va costruito senza lasciarsi travolgere dal mito dell’oro olimpico, senza caricare sulle spalle dei giocatori un peso che rischia di schiacciarli.

La vittoria della Nazionale femminile a Parigi 2024 è l’esempio più lampante. La squadra di Velasco ha centrato l’obiettivo proprio quando ha smesso di inseguirlo come un’ossessione. Le azzurre hanno giocato con leggerezza, sfruttando la forza del collettivo e mettendo in campo una qualità che è diventata certezza solo nel momento in cui hanno creduto di poter essere semplicemente se stesse. Il tecnico argentino, dopo i tentativi falliti con i maschi, ha trovato la formula giusta con le donne: non trasformare il sogno in incubo, non caricare la pressione del “tutto o niente”, ma presentarsi all’appuntamento olimpico con la stessa fame di sempre e senza il fardello della paura di perdere.

Per la squadra maschile il punto chiave sarà proprio questo: imparare a vivere l’attesa olimpica come un passaggio naturale, non come una resa dei conti finale. I segnali positivi non mancano. La gestione di De Giorgi è stata sinora un equilibrio tra fermezza e fiducia, senza strappi o rivoluzioni inutili. La sua capacità di tenere compatto il gruppo, anche nei momenti difficili, sarà fondamentale per evitare l’errore già commesso in passato: arrivare all’Olimpiade con il peso di dover vincere a tutti i costi.

Il Mondiale nelle Filippine ha mostrato un’Italia solida nella tecnica e nella mentalità: Romanò ha saputo caricarsi sulle spalle la responsabilità del bomber, Giannelli ha distribuito con lucidità, Balaso ha dato stabilità in seconda linea, i centrali hanno risposto con sostanza. È da questa base che si può costruire il futuro, sapendo che nel cammino ci saranno nuove sfide, nuove generazioni da inserire e inevitabili ostacoli da superare.

Il tabù olimpico resta lì, a ricordarci che nessun ciclo vincente può considerarsi davvero completo senza il trionfo a cinque cerchi. Ma il successo arriverà solo se l’Italia saprà imparare la lezione più importante: l’oro olimpico non si insegue con la paura di fallire, ma con la consapevolezza di poter vincere senza tradire la propria identità. È questa l’eredità che Velasco ci ha lasciato, ed è questa la strada che l’Italia deve percorrere per trasformare l’ultimo sogno in realtà.

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