Formula 1

F1, perché la tradizione dei piloti italiani si è esaurita da tempo. Andrea Kimi Antonelli una piccola speranza?

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Monza, 9 settembre 1990. Sulla griglia di partenza del Gran Premio d’Italia di Formula 1 si presentano la bellezza di 10 piloti italiani (Riccardo Patrese, Alessandro Nannini, Pierluigi Martini, Ivan Capelli, Stefano Modena, Emanuele Pirro, Alex Caffi, Michele Alboreto, Andrea De Cesaris e Nicola Larini) a cui bisogna aggiungerne altri 4 che non hanno superato il taglio di qualificazioni o pre-qualificazioni.

Solo quattro anni dopo, l’11 settembre 1994, il numero dei padroni di casa è dimezzato. Di quelli citati in precedenza resistono solo Martini, Alboreto e De Cesaris (peraltro tutti prossimi alla fine della carriera), ai quali si aggiungono Gianni Morbidelli e Alessandro Zanardi. Addirittura, l’8 settembre 1996 c’è solamente il 38enne Giovanni Lavaggi, pay-driver ingaggiato dalla Minardi per restare a galla. Il 9 settembre 2012 si è poi arrivati allo zero assoluto, situazione alla quale assisteremo anche nel 2023 e a cui si è purtroppo ormai abituati.

Quali siano le ragioni di questa desertificazione lo sappiamo. La globalizzazione della F1, avvenuta negli anni ’80, ha reso sempre più oneroso investire nel Circus. Tra fine anni ’70 e inizio ’80 anche le aziende locali potevano supportare adeguatamente team e piloti per portarli nella massima categoria automobilistica. Poi è cambiato tutto. La crisi sistemica di cui l’Italia è stata vittima a inizio anni ’90 ha fatto il resto, tarpando le ali al sottobosco da corsa nostrano. Se c’era da investire qualche soldino, lo si è cominciato a investire sul sicuro, ovvero sulla Ferrari.

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Già, perché in fin dei conti se si parla di automobilismo in Italia si parla praticamente solo della Scuderia di Maranello, che ormai da tre decenni abbondanti fagocita tutte le risorse della nostra nazione. Sad but true. “Triste ma vero”, come cantavano i Metallica. Correre in auto presenta un conto salatissimo. Senza sponsor non si può saldare. Se gli sponsor non ci sono, non si corre. Semplice.

Tanti ragazzi, difatti, preferiscono buttarsi sulle moto, dove sono sufficienti investimenti inferiori. I risultati si vedono. Messaggiare Francesco Bagnaia, Marco Bezzecchi, Enea Bastianini o Luca Marini per chiedere informazioni. Volutamente sono stati citati solo una serie di nati fra esclusivamente fra il 1997 e il 1998, tutti protagonisti dell’attuale MotoGP, a dimostrazione di come nelle due ruote la nostra sia, ancora, una nazione di vertice.

Se guardiamo alle quattro ruote, viceversa, il Bel Paese è solo uno dei tanti bacini di pesca dove le reti della F1 globale fanno tappa, senza essere più contesto privilegiato. Al riguardo c’è però chi crede fermamente in un ragazzo tricolore. Parliamo di Mercedes, che ha messo sotto contratto Andrea Kimi Antonelli, emiliano classe 2006. Tutti gli addetti ai lavori sono concordi nel ritenerlo dotato di un talento sopra la media, in grado dunque di portarlo lontano.

Quanto non è ancora dato a sapersi. Di certo c’è che Antonelli è un teenager chiacchierato e considerato a livello internazionale. Se questa reputazione sarà supportata dai fatti e propedeutica a una sua scalata verso il pinnacolo dell’automobilismo, lo scopriremo solo con il tempo. Per adesso tocca pazientare. Nel frattempo l’Italia non vince un Gran Premio dal 19 marzo 2006 (Giancarlo Fisichella a Sepang) e l’ultimo Mondiale rimane quello di Alberto Ascari, artigliato esattamente 70 anni fa.

Foto: LiveMedia/Marc De Mattia/DPPI

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