Ciclismo

Roberto Amadio: “Ct dell’Italia? Grande opportunità. Trovo un gruppo interessante, per battere Pogacar serve la bacchetta magica…”

Francesca Cazzaniga

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Roberto Amadio

Il ciclismo italiano sta vivendo una fase di rinnovamento profondo, sia tecnico che organizzativo. In questo contesto si inserisce il passaggio di consegne che ha portato Roberto Amadio a ricoprire il ruolo di nuovo commissario tecnico della Nazionale maschile su strada. Per lui si tratta di un ritorno più diretto alla guida sportiva dopo anni trascorsi in incarichi manageriali ai vertici della Federazione Ciclistica Italiana. Già team manager delle Nazionali azzurre, Amadio è stato scelto per dare continuità al progetto sviluppato negli ultimi anni, puntando su un gruppo giovane e ambizioso, e su un modello di collaborazione tra le varie discipline che, sotto la sua supervisione, ha già iniziato a dare frutti. Con un passato importante da direttore sportivo – in particolare nell’era vincente della Liquigas – e una profonda conoscenza dell’ambiente federale, Amadio si prepara ora a guidare la Nazionale in un ciclo che guarda ai prossimi Mondiali e soprattutto a Los Angeles 2028.

Sei stato un direttore sportivo di successo, in particolare alla Liquigas, ma negli ultimi anni hai ricoperto incarichi più manageriali. Ti aspettavi questa grande occasione da ct della Nazionale?
“Quando il Presidente Dagnoni me lo ha proposto sono rimasto sorpreso, non me lo aspettavo davvero. Poi, però, ho subito percepito la grande opportunità che rappresentava, anche in relazione ai recenti assestamenti dell’area tecnica, con l’ingresso di Elia Viviani come Team Manager delle Nazionali. Il Presidente ha ritenuto opportuno coinvolgerlo fin da subito nel nostro gruppo di lavoro, e ne sono molto felice. Con il ct Villa era già stato impostato un accordo transitorio per il settore strada uomini, quindi questa scelta arriva nel momento giusto”. 

Tracciando un bilancio da team manager della Nazionale italiana, cosa è cambiato e come si è evoluta la gestione organizzativa?
“Quando io e Dagnoni siamo arrivati, l’impostazione era diversa. La mia idea è stata quella di creare una collaborazione reale tra tutte le specialità della Federazione, perché solo così si cresce in modo armonico. In questi quattro anni siamo riusciti a riportare ad alti livelli discipline che erano quasi scomparse o marginali, come il trial o la velocità su pista. Abbiamo fatto scelte importanti sui tecnici e sul personale, e i progressi ottenuti lo dimostrano. C’è ancora tanta strada da fare, ma la direzione è quella giusta”. 

Elia Viviani ha le caratteristiche ideali per raccogliere la tua eredità?
“Sì, ma naturalmente andrà accompagnato nel suo nuovo percorso. Lo considero uno dei pochi veri “corridori-manager”: ha saputo gestire se stesso in modo impeccabile, curando ogni dettaglio e raggiungendo risultati di altissimo livello. All’inizio lo supporterò da vicino, ma sono convinto che rappresenti un valore aggiunto, soprattutto per il settore pista, ma anche per la strada”. 

Essendo già in Nazionale, seppur con un ruolo diverso, conosci tutti gli azzurri: sarà un vantaggio?
“Senza dubbio. Con Daniele Bennati e Marco Villa ho sempre condiviso ogni situazione, confrontandomi spesso, soprattutto con Marco. Credo sia giusto dare continuità al lavoro portato avanti da Villa, che anche quest’anno ha ottenuto risultati importanti come il sesto posto di Ciccone ai Mondiali o il quarto di Scaroni agli Europei”. 

Da nuovo ct e dopo diversi anni difficili, che Italia trovi? Come lavorerai con i ragazzi?
“Trovo un gruppo interessante, composto da giovani in crescita come Pellizzari, Piganzoli, Finn, Scaroni, Garofoli, e affiancato da corridori di grande esperienza come Bettiol, Ciccone e Bagioli. Sarà importante dialogare con le loro squadre per programmare al meglio l’avvicinamento ai prossimi Mondiali. Guardando al 2027 e soprattutto a Los Angeles 2028, abbiamo atleti che possono diventare protagonisti. E se i percorsi mondiali saranno meno impegnativi, potremo contare anche su corridori come Ganna e Milan”.

Giulio Pellizzari può diventare un riferimento per le corse a tappe?
“Ha dimostrato continuità e maturità, con ottimi piazzamenti in top-10 al Giro e alla Vuelta pur essendo al primo anno nel World Tour e partendo come gregario. Credo possa confermarsi anche nelle grandi Classiche dure come Liegi, Lombardia o Mondiale. Ho grande fiducia in lui”. 

Che idea ti sei fatto invece su Lorenzo Finn?
“È molto giovane, ma già a Zurigo mi ha colpito il suo atteggiamento, più ancora della prestazione. Ha dimostrato solidità anche al Giro Next Gen e al Tour de l’Avenir, confrontandosi con avversari già abituati alle gare World Tour. Ora è in una delle squadre più importanti, e questo gli offrirà una struttura ideale per crescere nei prossimi anni”. 

Quali risultati pensi di poter provare a conseguire nel prossimo triennio?
“Fare previsioni è difficile. La priorità è costruire una squadra forte e coesa. Se riusciremo a lottare per un podio ai Mondiali o agli Europei, considerando il livello attuale e i fenomeni che ci sono in giro, sarebbe già una grande vittoria. L’obiettivo è crederci sempre, fino alla linea del traguardo; questa è sempre stata la mia filosofia”. 

Come si può provare a vincere nell’era Pogacar?
“Domanda difficile… non esiste una bacchetta magica (ride, ndr). Pogacar è straordinario, probabilmente il più forte al mondo in questo momento. Bisogna accettarlo e fare il massimo con le nostre armi, ma è una sfida che riguarda tutte le nazionali, non solo l’Italia”.

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