Atletica

Paolo Dal Soglio: “Con Fabbri lavoriamo sulla tecnica. Weir è l’uomo molla, ma ha avuto problemi fisici”

Alessandro Passanti

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Fabbri / Grana/FIDAL

Paolo Dal Soglio è stato l’ospite dell’ultima puntata di OA Focus. Il pesista azzurro, ventisei volte campione italiano, dopo aver chiuso la propria carriera è diventato un grande allenatore e ora collabora con due nomi del calibro di Leonardo Fabbri e Zane Weir.

Il nativo di Schio parte raccontato come ha mossi i primi passi nel getto del peso:Ho iniziato nel lontano 1981 quando avevo 11 anni. Quell’età in cui si inizia a conoscere l’atletica. I primi 2-3 anni li ho vissuti senza pensarci troppo poi, dopo aver conosciuto il mio allenatore Pedron, ho dato il via a questo viaggio. All’inizio non mi sarei mai aspettato di vivere una carriera simile. Lo capisci con il tempo che puoi farcela, come di poter ambire alle Olimpiadi. Nella mia carriera mi sono sempre divertito e anche ora come allenatore voglio proseguire in questo modo. Fare quello che si ama come lavoro è il massimo“.

La carriera del classe 1970 ha visto nel complesso un oro europeo indoor e tanti allori tra Universiadi, Giochi del Mediterraneo e molto altro:La mia caratteristica? Ho sempre avuto una crescita costante: ogni anno miglioravo nel record personale e a quel punto capisci che si può ambire a questi risultati. Il vero salto di qualità è stato passare i 20 metri e, di pari passo, cambiare il mio gesto. Passando da quella lineare alla rotazione ho migliorato di 2 metri in un anno e mezzo. La traslocazione è un gesto lineare, mentre la rotazione sfrutta il movimento circolare. Ho iniziato quasi per gioco, dopotutto era una sfida con Tubini a fine allenamento. Da li ho capito che qualcosa poteva uscirne”.

Come si sta sviluppando il lancio del peso?La prima modifica importante è stata la partenza. Ai miei tempi non si poteva toccare con il piede il bordo della pedana. Ora si può e fa parecchia differenza. Il gesto ora è più sereno e ampio. Dal mio punto di vista, invece, penso alla preparazione. L’ho capito solo a fine carriera. Con il gesto cambiato dovevo anche modificare il mio approccio dal punto di vista fisico. Ora nel complesso il livello è più alto. Con 20 metri non vai da nessuna parte. Con i 22 metri puoi ambire alla finale”.

Il gesto perfetto esiste?Ovviamente esiste in base all’idea dell’allenatore. Avvicinarsi è l’obiettivo. Ma, più che il gesto in sé, ci vuole costanza nei lanci. Non ha senso azzeccarne uno ogni 10 e farlo perfetto, meglio farne 9 quasi perfetti e uno no, perchè è quello che fa la differenza quando si è sotto pressione”.

Come si può ulteriormente alzare l’asticella nel peso? “Penso che l’esempio ideale sia Duplantis nell’alta. Ovviamente lo svedese ha anche doti innate ma il suo beneficio è stato che sin da piccolo sia stato indirizzato ad imparare il gesto tecnico. Come dico sempre prima si impara meglio è. Il peso è estremamente tecnico e sarebbe meglio imparare il lancio prima possibile”.

Per questo motivo piacerebbe l’idea di allenare i ragazzini?Penso sarebbe una cosa che mi stimolerebbe molto. Occorrerebbe, però, una struttura ad hoc per allenarsi. Ai miei tempi a Schio c’era il centro federale, in altre sedi non è possibile. Sarebbe bello però. Potremmo avere tanti Sinner che non hanno mai provato a giocare a tennis”.

Il punto più alto della carriera di Dal Soglio, ovviamente, è stata la partecipazione alle Olimpiadi: “Quando è arrivata la convocazione per Atlanta 1996 ero davvero contento perché era un sogno che si realizzava e proseguiva. Il risultato però è stato beffardo, chiudendo quarto a un centimetro dal podio. Peccato anche perché prima dell’ultimo lancio ero al comando della gara”.

Dopo Atlanta 1996 è stata la volta di Sydney 2000: “Olimpiadi disputate a settembre, molto belle ma io sono uscito già nelle qualificazioni. Il motivo è semplice: non ho saputo affrontare nel migliore dei modi il jet-lag. Sono andato in Australia solo 8 giorni prima delle gare invece, con il senno di poi, avrei avuto bisogno di 2 settimane. Non riuscivo a dormire. Peccato”.

Cosa cambia dalla pedana al ruolo di allenatore? “Da tecnico è più semplice ma la vivo assieme a loro come sempre. La mia filosofia è “Le medaglie si vincono in allenamento in gara si vanno a raccogliere”. Quando Leo e Zane ottengono risultati per me la soddisfazione è enorme, come la delusione se non ci riescono. Anche per questo non trovo differenze nei due ruoli”.

Negli Europei Indoor di Apeldoorn i risultati non sono arrivati:Per Zane si sono disputate due gare in un giorno con le qualificazioni al mattino e la finale alla sera, ma meglio che non commenti. Le donne invece hanno avuto le qualificazioni il giorno prima. Gli organizzatori hanno ovviamente favorito il peso femminile dove c’era l’atleta di casa. Leo, invece, è stato male nel corso della notte. Davvero non riusciva a dormire, penso per problemi di stomaco dovuti alla tensione”.

Ultima battuta sul lavoro con i due campioni: “Io sono fortunato. Leo è un gigante che lavora a testa bassa. I risultati li ottiene sia perchè ascolta i consigli, sia perchè lavora tanto. Zane è uguale, io lo chiamo “l’uomo molla”. Non è alto ma se lanci 22.50 sei fortissimo. Con Leo stiamo lavorando per migliorare un particolare tecnico, dopotutto lui è velocissimo con la parte sopra. Ha busto e braccia velocissimi che vanno a scapito delle gambe che non hanno il tempo per stargli dietro. Con Zane invece lui ha già un gesto più stabile per cui stiamo lavorando un po’ meno perché ha un problema fisico. Sarebbe importante non avesse infortuni dopo la frattura all’indice in gara e la distorsione subita prima di Parigi quando era all’apice”. 

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