Ciclismo

Elia Viviani dirigente: “Salviamo le società che stanno morendo e aiutiamo i giovani a non smettere. Pogacar un fenomeno, ma non è l’esempio”

Andrea Ziglio

Pubblicato

il

Elia Viviani/LaPresse

Elia Viviani è stato uno dei più grandi ciclisti italiani della sua epoca, capace di trionfi sia in strada sia in pista. Una chiusura della carriera perfetta con l’oro ai Mondiali di Santiago del Cile nell’Eliminazione, sua ultima gara da professionista e culminata con l’ennesimo capolavoro. Il veronese è stato ospite di OA Focus, il programma presente sul canale YouTube di OA Sport, dove ha ripercorso tutte le fasi della sua carriera, partendo proprio dalla sua ultima gara, ma dove ha anche cominciato a mostrare le sue idee per la nuova carriera da dirigente.

Sul suo ritiro e sull’ultima indimenticabile gara: “Sicuramente è stata una gran chiusura. La scelta di smettere con il ciclismo professionistico è stata pensata, maturata. Quella vittoria mi ha dato sicuramente una serenità perfetta. Non potevo lasciare il ciclismo in un modo migliore, con la maglia iridata, con l’inno nazionale. Un momento decisamente bellissimo“.

Un titolo mondiale davvero speciale: “Forse proprio quest’ultima medaglia è quella che mi ha lasciato qualcosa in più, proprio per il modo in cui è arrivata, nel modo davvero perfetto. Quella a Rio non si può dire che è perfetta, visto che a 100 giri dalla fine ero primo con venti punti di vantaggio, ma poi cado e si rimette in gioco. Chiaro se devo scegliere due giorni perfetti dico Rio, anche per tutte le emozioni e di come è stata costruita la vittoria. Invece a Santiago del Cile non ho mai rischiato di uscire, quando siamo rimasti in sette ho cominciato ad avere la sensazione del potercela fare, poi quattro per assicurarsi la medaglia, fino ad arrivare alla sfida finale con lo sprint per l’oro. Una gara veramente perfetta, dove ho sempre avuto tutto in controllo e dove sono riuscito a creare la situazione giusta per realizzare la giornata perfetta“.

Prima vittoria tra i professionisti in strada al Giro di Turchia ed ultima vittoria sempre al Giro di Turchia: “Uno dei segnali che doveva essere l’ultimo anno. Va detto che era ancora presto e non avevo ancora deciso di smettere. Quella vittoria lì mi ha fatto anche un po’ paura, perchè dici ‘è troppo strano’, poi lo dimentichi e lo archivi. Un altro segnale è poi arrivato nella tappa della Vuelta che ho perso contro Philipsen, che mi ha passato proprio sulla linea e lì ho avuto una reazione troppo marcata per un secondo posto, per aver mancato quella vittoria. Era una reazione troppo emotiva e nei giorni successivi ho maturato che dovevo smettere. Quello ha risuonato un po’ come l’ultimo sprint”.

Viviani prova a spiegare quale vita avrebbe trascorso se non fosse diventato un ciclista professionista: “Non mi sarei visto al di fuori dello sport. Forse avrei fatto il tennista, perchè avevo uno zio che faceva l’istruttore. Io non l’ho mai praticato e ci ho giocato al massimo nel cortile di casa con lui. Io sono sempre uno che viaggia tantissimo in macchina e da piccolo pensavo magari guiderò un camion, visto che i grandi spostamenti mi sono sempre piaciuti”. 

Il campione veneto ricorda anche la giornata degli Europei 2022 a Monaco di Baviera tra strada e pista: “Me la ricordo quella giornata, ma non la inserisco mai tra quelle che mi ricordo di più, anche perchè per me ha sempre rappresentato la normalità fare strada e pista. Arrivo settimo in strada anche molto arrabbiato, visto che avevamo fatto un lavoro perfetto e ci siamo sfaldati a 500 metri. All’ultimo chilometro avevo già la scena tutta perfetta, con il treno davanti a me ed invece sono finito settimo, deluso ed arrabbiato. Con la competitività ancora dentro ho chiesto al CT Marco Villa se fosse fattibile fare la gara dell’eliminazione su pista e lui che accetta e supporta sempre le mie sfide mi ha seguito ancora una volta. Ero campione del mondo e volevo anche mostrare la mia maglia iridata. Alla fine ho vinto pure davanti ad un tedesco davanti ai suoi tifosi. Sicuramente è uscita una bella impresa“.

La nuova carriera da dirigente: “Sarò il team manager delle Nazionali su strada e pista. Un ruolo che ripercorre quello che ho sempre fatto in carriera, cercando di tenere insieme il gruppo, di creare armonia tra le discipline, tra le nNzionali. Io la vedo come una continuazione. Certo è un ruolo dove devo imparare tanto, partire da zero, crescere. Ci saranno sicuramente delle complicazioni da dover gestire, che mi pone anche degli obiettivi e questo da atleta mi stimola“.

Un ciclismo italiano in crisi anche sul piano della trasmissione delle gare, con sempre meno appuntamenti in chiaro e con il tennis che continua a mangiare spazi: “Il campione in questo momento nel nostro paese non è un calciatore, non è un ciclista, ma è un tennista. Se il campione è un tennista, il campione porta movimento, porta ad avere dirette televisive, porta ad avere stadi pieni come ad esempio alle ATP Finals a Torino. Il campione fa da trascinatore allo sport e gli altri sport a cascata devono fare i conti con questo. Il nostro compito è quello di trovare il prossimo campione del ciclismo italiano e ribaltare completamente la situazione. Dobbiamo trovare il nuovo Vincenzo Nibali e far tornare ad appassionare il pubblico e i tifosi italiani”.

Una lunga, chiara e completa analisi sul ciclismo giovanili, con Viviani che ha ben chiari i punti dove agire: “Bisogna fare tantissimo lavoro soprattutto nelle categorie Juniores e Under 23, perchè il ciclismo italiano, ma anche quello mondiale, stanno perdendo tantissimi talenti. Le categorie giovanili sono basate sul volontariato e qui bisognerà agevolare queste persone motivate a portare i ragazzi a fare attività. C’è un problema con le strade, perchè ì genitori comunque prima di mettere un bambino in bicicletta pensano anche a questo. Bisogna aiutare le società, magari anche differenziando e cercando di portare i ragazzi anche su altre discipline come il ciclocross e la BMX. Per quanto riguarda la strada sarebbe fondamentale creare dei ciclodromi, in modo da poter fare allenare i ragazzini in circuiti chiusi e sicuri, al di fuori di ogni pericolo. Bisogna fare tanta attività di promozione e aiutare quelle società che rischiano sempre di morire. Inoltre bisogna fare un lavoro grosso come dicevo proprio su quelle categorie Juniores e Under 23, perchè questa accelerata del tutto e subito non aiuta e fa perdere tantissimi campioni. Io sono uno che ha vinto le sue migliori gare tra i 27, 28 e 29 anni. Il ciclismo attuale è dominato da fenomeni, ma questi fenomeni non devono essere l’esempio. Non può diventare che se Tadej ha vinto il Tour a 21 anni e tu non lo hai fatto sei un nessuno o se non hai vinto due Sanremo a 25 anni la tua carriera è finita. Purtroppo questa la via che si sta prendendo”.

Il ricordo lasciato alla gente dopo questa straordinaria carriera: “Sicuramente ricorderanno le imprese, però penso che anche nella mia carriera che non sono il campione inarrivabile, ma che sono il campione che se trovano per strada possono fermare senza il minimo problema. Vorrei che continuassero a pensare che sono un campione normale, vicino alla gente”.

INTERVISTA ELIA VIVANI FOCUS OA SPORT

Exit mobile version