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Basket femminile: è morta Mabel Bocchi, leggenda senza tempo

Federico Rossini

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Mabel Bocchi / LaPresse / Olycom

Nel 1975 la FIBA l’aveva votata come miglior giocatrice al mondo. Di sicuro è stata la più grande giocatrice che l’Italia abbia mai avuto. Mabel Bocchi, a 72 anni, non c’è più, stroncata da un male che se l’è portata via in pochi mesi a San Nicola Arcella. Se ne va colei per cui il termine leggenda si può correttamente declinare, visto che ha trascinato un’intera generazione.

Nata a Parma il 26 maggio 1953, deve il suo nome alle origini argentine da parte di madre (il nome completo era Liliana Mabel Gracielita, dove Gracielita era la sorella che non ha mai conosciuto perché morta un anno e mezzo prima). Il basket l’ha conosciuto però in Irpinia, dal momento che era lì che la famiglia si era trasferita.

E il talento lo notarono tutti, subito. In Serie B, ad Avellino, tempo un anno e riuscì a portare la squadra in Serie A. Si trattava della Partenio, che ai massimi della sua storia riuscì ad arrivare nei quarti di finale di Coppa Ronchetti nel 1985. Mabel Bocchi, però, nel frattempo la sua storia l’aveva scritta con la maglia che l’ha resa universalmente famosa, quella del Geas Sesto San Giovanni.

Il Geas, in quegli anni, cominciò a fare quello che avrebbe fatto per parecchio tempo. Vincere. Otto gli scudetti consecutivi, dalla stagione 1969-1970 a quella 1977-1978. Ma, soprattutto, fece parte di una squadra in grado di realizzare qualcosa di storico: la vittoria nella Coppa dei Campioni nel 1978. Negli anni precedenti il Geas era spesso arrivato vicino  a giocarsi la finale, ma al tempo vinceva sempre il Daugava Riga, l’antenato dell’attuale TTT Riga che costituiva l’orgoglio dell’Unione Sovietica. Anche se, poi, la squadra era né più e né meno lettone. In alcuni anni, però, Riga semplicemente non s’iscrisse. Come quell’anno.

Rimanevano, certo, formazioni enormi: le francesi del Clermont, lo Sparta Praga. Alla fine dei conti, fino ad allora erano sempre state squadre dell’Est a vincere. Questa volta no. Il Geas riuscì a compiere un’impresa, perché fu sia la prima volta di una squadra italiana che di una dell’Occidente, il tutto eliminando anche la Stella Rossa dopo un doppio confronto da brividi in semifinale. Ma non solo: non c’era mai stata una squadra femminile italiana di qualsiasi disciplina a vincere un qualsivoglia titolo continentale. Questo basti per capire l’impatto di tutto all’epoca.

Con Mabel Bocchi c’erano Maria Baldini, Lella Battistella, Rosi Bozzolo, Daniela Cesati, Dora Ciaccia, Giusi Fogliani, Marina Re, Wanda Sandon, Cristina Tonelli. Il coach era Fabio Guidoni. Mabel ne mise 22 a referto come Battistella, dopo una carriera spesa a giocare contro le lunghe più forti d’Europa. Anche da pivot, il che voleva alle volte dire avere a che fare con i 213 centimetri di Uliana Semenova, una delle figure più importanti di tutta la storia del basket femminile.

Mabel Bocchi, con quella vittoria, non si fece solo volto di una squadra, quella rossonera, che aveva compiuto un’impresa senza tempo. No, era anche una persona con delle ben precise idee. Con quel successo divenne anche la voce di qualcos’altro, perché sapeva benissimo che c’era ancora un gap importante tra uomini e donne sui salari e finanche sulle terapie mediche. Fu sempre sostenuta dalle compagne.

Quell’annata fu anche la sua ultima al Geas, perché poi andò a giocare a Torino fino al 1981 per chiudere la carriera a Milano, nella squadra che nel frattempo era diventata di proprietà della GBC di Jacopo Castelfranchi, figura legata anche a numerosissimi altri sport. Importantissimo anche il suo periodo nella Nazionale azzurra, che portò al bronzo degli Europei di casa del 1974. Con l’Italia ha realizzato 984 punti in 113 presenze, tra cui quelle a tre Europei e un Mondiale, quello del 1975 in cui fu la seconda miglior realizzatrice. In totale, in Serie A, 241 presenze e 3319 punti realizzati.

Dopo il ritiro ha fatto tante cose: parte di numerose edizioni della Domenica Sportiva, collaboratrice per La Gazzetta dello Sport, sostenitrice aperta del fratello Norberto. Già, perché anche Norberto Bocchi è stato un grande nome, ma del bridge: fu tra gli uomini della rinascita dell’Italia erede del mitico Blue Team, contribuendo al tricolore due Bermuda Bowl (i campionati mondiali) nel 2005 e nel 2013. Ambra Bocchi, invece, è stata anche lei nel basket prima di allenare.

Quello che resta è (anche) quella notte di Nizza del 30 marzo 1978, in cui una squadra che non poteva neppure vivere di basket come principale attività conquistò l’Europa. E rimane una maglia numero 11 che da allora è rimasta simbolo assoluto. Quello della prima giocatrice mai inserita nell’Italia Basket Hall of Fame: era il 2007.

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