Rugby
Rugby, le Union bocciano l’idea della superlega R360
È arrivata una bocciatura netta, senza mezzi termini. Le principali federazioni rugbistiche del mondo — da quelle europee fino a Nuova Zelanda, Australia e Sudafrica — hanno diffuso una dichiarazione congiunta in cui esprimono profonda preoccupazione per il progetto R360, la nuova “superlega privata” che promette di rivoluzionare (o stravolgere) il panorama ovale globale. Le federazioni invitano i giocatori a “massima cautela” e avvertono che chi dovesse aderire al progetto sarà considerato ineleggibile per la propria nazionale. Dietro questo avvertimento non c’è solo la difesa d’ufficio di un sistema consolidato, ma il timore concreto che R360 possa minare l’intero ecosistema economico e sportivo del rugby internazionale.
Ma cos’è esattamente R360? Si tratta di un progetto ambizioso — e per molti versi spregiudicato — ideato dall’ex campione del mondo inglese Mike Tindall. L’idea è quella di creare una competizione globale, una sorta di “Gran Prix del rugby”, con otto franchigie maschili e quattro femminili composte da stelle provenienti da tutto il pianeta. Nessun legame con club storici o territori, ma contratti milionari e tappe itineranti in diverse città del mondo. I fondi arriverebbero da investitori privati — in particolare dal Regno Unito, dagli Stati Uniti e dal Medio Oriente — sotto la supervisione finanziaria di Oakvale Capital, società specializzata in private equity sportivo. Si parla di cifre enormi: da 500.000 a 1,5 milioni di euro per i contratti annuali, con un’offerta record di 4 milioni l’anno per tre stagioni a un celebre All Black.
A dare consistenza al progetto, secondo quanto trapelato, ci sarebbero già alcuni nomi di peso: Henry Slade, George Ford, Jamie George e quattro Springboks non ancora identificati avrebbero firmato pre-contratti, mentre tra i possibili obiettivi figurerebbe anche Ardie Savea. Un tentativo, quindi, di costruire un’élite globale slegata dai confini nazionali e dai club, puntando tutto sullo spettacolo, sui diritti televisivi e sul fascino del brand internazionale. Tuttavia, proprio questa mancanza di radici territoriali e di una visione condivisa con gli organismi ufficiali è ciò che più allarma le federazioni, che vedono nel modello R360 il rischio di un “rugby per pochi”, capace di drenare risorse dai campionati domestici e dalla formazione di base.
Il comunicato congiunto, firmato dalle otto federazioni di vertice (escluse Galles e Argentina), è perentorio: “R360 non ha fornito alcuna indicazione su come intenderebbe garantire la tutela dei giocatori, gestire la coesistenza con i calendari nazionali o mantenere vivo il sogno della maglia internazionale”. Il modello proposto, aggiungono, “sembra concepito per generare profitti destinati a un’élite ristretta”, ignorando la sostenibilità complessiva dello sport. Il rugby internazionale, sostengono le federazioni, è un sistema complesso ma interdipendente, dove la linfa delle nazionali sostiene i club, e viceversa. Infrangere questo equilibrio per inseguire l’illusione di un circuito privato globale potrebbe avere effetti devastanti. Per ora, dunque, R360 è più un terremoto potenziale che una rivoluzione: ma la scossa è già arrivata forte e chiara.