Ciclismo

Giacomo Nizzolo: “Sento ancora l’adrenalina dell’oro europeo. Giusto dire ‘basta’, la vittoria al Giro fu una liberazione”

Francesca Cazzaniga

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Giacomo Nizzolo / Lapresse

Alla Coppa Bernocchi, tra applausi, abbracci e un pizzico di malinconia, Giacomo Nizzolo ha salutato per l’ultima volta il gruppo. Dopo trent’anni trascorsi in sella, tra vittorie, infortuni, piazzamenti e grandi emozioni, Nizzolo, milanese e classe 1989, ha deciso di chiudere un capitolo importante della sua vita, il più importante sino ad ora. Con la serenità di chi ha dato tutto e la consapevolezza di aver scritto pagine significative del ciclismo italiano, Nizzolo si è raccontato in un’intervista che profuma di sincerità, gratitudine e amore per questo sport che lo ha accompagnato fin da bambino a cui ha permesso negli anni di realizzare i suoi sogni.

La tua ultima gara alla Coppa Bernocchi: quali le emozioni?
“Sono state emozioni contrastanti, difficili da spiegare. Da una parte una grande gioia, perché è stato bello sentire così tanto affetto attorno a me, dall’altra un po’ di malinconia perché sapevo che era davvero l’ultima volta. Ho rivisto tante persone che hanno fatto parte del mio percorso: compagni, tecnici, amici, tifosi. Tutti lì per condividere con me quel momento speciale. È stata una giornata perfetta, un mix di nostalgia e gratitudine. Non potevo chiedere di meglio, è stata una giornata perfetta”.

Quando è maturata la tua scelta di lasciare il ciclismo?
“La decisione ha iniziato a prendere forma lo scorso inverno. Mi sono posto delle domande profonde su cosa volessi davvero, su quanto ancora sentissi dentro la spinta giusta per vivere un’altra stagione al massimo. Ho affrontato l’inizio dell’anno con la stessa professionalità di sempre, ma sapevo che le sensazioni dei primi mesi mi avrebbero dato la risposta. E così è stato: già all’inizio stagione ho sentito che era arrivato il momento di chiudere questo capitolo. Prima del Campionato Italiano ho comunicato la mia scelta: mi sembrava la cosa più giusta e onesta da fare, verso me stesso e verso chi mi è sempre stato accanto”. 

Hai lasciato il segno e un grande ricordo: che effetto ti fa?
“Quando sei nel pieno della carriera, non ti rendi conto di tutto quello che costruisci giorno dopo giorno. Ora, guardandomi indietro e parlando con le persone, capisco davvero quante emozioni ho regalato e ricevuto. È una sensazione bellissima. Mi sento sereno, perché so di aver sempre dato tutto, in ogni allenamento, in ogni corsa, anche nei momenti difficili. Sono in pace con me stesso. È andata così, e sono felice di ciò che ho vissuto”. 

L’apice della tua carriera resta l’Europeo del 2020, quando battesti campioni come Demare, Ackermann e Van der Poel. Quali ricordi porti di quel giorno?
“È stato un giorno magico. Arrivavo con il morale altissimo dopo aver vinto pochi giorni prima il Campionato Italiano, quindi ero carico, ma allo stesso tempo libero da pressioni. Sentivo che tutto stava andando nella direzione giusta. La Nazionale è stata fantastica, abbiamo corso da protagonisti sin dal primo chilometro, compatti e determinati. Quando rivivo quei momenti, sento ancora l’adrenalina e l’orgoglio di quella giornata. È uno dei ricordi più intensi della mia carriera, uno di quei giorni in cui tutto fila alla perfezione”. 

Qual è stato il momento più bello della tua carriera?
“Oltre alla mia prima vittoria nel 2011, che resta indimenticabile, il secondo titolo di Campione Italiano nel 2020 ha avuto un valore enorme. Venivo da anni complicati, segnati da infortuni che mi avevano tolto tanto, e riuscire a tornare al top dopo tutto quello che avevo passato mi ha dato una soddisfazione immensa. È stato il simbolo della mia resilienza: la prova che, anche dopo momenti bui, con determinazione si può tornare a sorridere”. 

Al Giro d’Italia sei arrivato undici volte secondo. Questo ha reso ancora più speciale la tua unica vittoria?
“Sì, assolutamente. Quel successo è stata una liberazione, la ricompensa per tanta costanza e tenacia. L’attesa è stata lunga, ma ogni secondo posto mi ha insegnato qualcosa, mi ha reso più forte. Forse è proprio questo che ha caratterizzato la mia carriera: non solo le vittorie, ma la continuità, la capacità di esserci sempre, di lottare con i migliori”. 

Hai raggiunto l’apice intorno ai trent’anni, crescendo gradualmente. Oggi ai giovani viene concesso meno tempo?
“Sì, il ciclismo è cambiato molto. Oggi i giovani arrivano subito fortissimi, esplodono in fretta, ma rischiano anche di bruciarsi altrettanto in fretta. Io ho avuto la fortuna di crescere passo dopo passo, di maturare fisicamente e mentalmente nel tempo. Auguro ai ragazzi di oggi di poter avere una carriera lunga, di godersi ogni fase, anche oltre i trent’anni. Il ciclismo non è solo numeri e prestazioni, è anche esperienza, intelligenza e gestione”. 

Hai un rimpianto o una gara che vorresti correre di nuovo?
“Più che una gara specifica, il mio rammarico sono i tre anni “persi” tra il primo e il secondo titolo italiano, a causa degli infortuni. In quel periodo correvo poco e non riuscivo a esprimermi al meglio. Sentivo di avere ancora tanto da dare, ma il fisico non rispondeva. Quelli sì, sono stati anni difficili da accettare”.

Nonostante fosse adatta alle tue caratteristiche, alla Milano-Sanremo hai ottenuto come miglior risultato un 5° posto nel 2020. Che rapporto avevi con la Classicissima?
“La Milano-Sanremo è sempre stata una corsa che ho amato profondamente, ma allo stesso tempo mi ha fatto soffrire. È stata un rapporto di amore e odio. È la gara che più rispecchia il mio modo di correre, ma raramente ci sono arrivato nelle condizioni ideali. Nel 2020, 2021 e 2022 mi sentivo davvero competitivo. In particolare nel 2022, quando caddi in discesa dal Poggio: eravamo rimasti in pochi e sentivo di avere una grande occasione nelle gambe. Quella caduta resta un rimpianto, perché poteva essere il mio giorno”. 

Cosa ci sarà nella nuova vita di Giacomo Nizzolo?
“Per ora, sinceramente, non lo so. So solo che ho bisogno di un po’ di stacco, di respirare, di vivere la quotidianità senza corse, senza voli, senza valigie sempre pronte. Sono quindici anni che giro il mondo senza fermarmi un attimo. Mi prenderò del tempo per capire cosa voglio davvero fare dopo. Ma so che, in un modo o nell’altro, la bici rimarrà parte di me”. 

Cos’è stato per te il ciclismo?
“Il ciclismo è stato tutto. È stata la mia scuola di vita, il mio lavoro e la mia casa per trent’anni. Mi ha insegnato il sacrificio, la disciplina, la capacità di rialzarmi. Mi ha fatto conoscere il mondo, mi ha fatto crescere come uomo. Devo tutto alla bici, anche molte persone che oggi fanno parte della mia vita le ho incontrate grazie a questo sport. È stato un viaggio meraviglioso”.

Cosa diresti oggi al Giacomo dei primi anni di carriera?
“Gli direi di credere sempre nei propri sogni e di non avere fretta. Ho avuto la fortuna di vivere un percorso naturale, senza pressioni eccessive. La mia famiglia mi ha sempre lasciato libero di scegliere, e questo è stato fondamentale. Forse gli direi solo: goditi ogni momento, perché vola. E quando ti guarderai indietro, capirai quanto è stato bello”. 

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