Atletica
Stefano Mei: “Quando arrivai nel 2021, i ragazzi non erano felici. Abbiamo investito sui talenti, Diaz un esempio”
Stefano Mei, campione europeo nei 10.000 metri a Stoccarda 1986 e leggenda del mezzofondo azzurro, è stato ospite a OA Focus, trasmissione che va in onda sul canale YouTube di OA Sport, dove ha parlato della propria trasformazione da atleta vincente a presidente della FIDAL, la federazione italiana di atletica leggera.
Il passato, il presente ed il futuro dell’atletica, a quasi 40 anni da Stocarda 1986: “Fu un’estate chiaramente positiva, il prossimo anno sono 40 anni, quindi è per quello che non amo parlarne, perché quando mi guardo indietro sono passati quasi 40 anni ed è chiaro che è tanta roba. Preferisco parlare dell’immediato passato, del presente e del futuro, che mi vedono già abbastanza impegnato, e quindi è più stimolante sicuramente. Erano altri tempi, avevamo sicuramente un altro approccio con la vita, perché non c’erano i mezzi di comunicazione di oggi, i mezzi di trasporto di oggi, perché oggi il mondo è molto più piccolo per l’informazione e per i trasporti, che sono chiaramente più immediati. Ci si divertiva, non so se di più, ma sicuramente in modo differente. Si suole dire che eravamo migliori dei giovani di oggi, invece, secondo me, è una stupidata perché, i ragazzi oggi, soprattutto quelli che scelgono di fare sport, potrebbero fare qualunque cosa, invece scelgono di fare un’attività che ha bisogno di attenzione, ha bisogno sicuramente di continuità, e quindi sono veramente bravi i ragazzi di oggi che scelgono di fare quel genere di vita, e quando io li vedo in Nazionale li sento molto vicini, perché chiaramente in quello sono ancora giovane, nella testa, dico, per tutto il resto andiamo avanti“.
I passi in avanti dell’atletica italiana: “Io sono arrivato nel 2021, a gennaio 2021, e da fuori avevo l’impressione che i ragazzi non fossero felici, e quando tu fai una cosa e non sei contento, diventa difficile farla bene. Ho cercato di portare un po’ di tranquillità, perché questo è quello che mi ha insegnato la mia carriera di sportivo. Facevo le cose perché mi piacevano, se andava bene ero contento, se andava male l’arrabbiatura doveva durare dopo, perché comunque la sconfitta ti serve, a mio parere, serve sempre per migliorare la volta dopo. L’atletica è bella perché ti dà l’esatta misura di come sei migliorato, di come sei regredito e quindi hai modo di gestire questa cosa, quindi è facile volerle bene, è facile farla con il sorriso sulle labbra. Questo ho cercato di portare ai ragazzi, ho levato un po’ di tensioni, poi abbiamo fatto dei grossi investimenti, e dal 2021 è partito un ciclo straordinario di vittorie che non si erano mai viste, neanche ai tempi d’oro di Mennea Simeoni, Cova, Antibo e tutti i campioni degli anni ’80. Ora veramente è una Nazionale compatta, forte, inclusiva, multietnica, come si dice oggi, che poi lo vediamo noi vecchi, magari voi giovani no, ma noi vecchi vediamo la differenza, i ragazzi io vedo che non ci fanno proprio caso. Ora, già dire che è una Nazionale multietnica secondo me è una stortura, perché non dovremmo nemmeno farci caso, perché ormai siamo abituati ad avere ragazzi di tutti i colori nei Paesi, non solo in Italia, chiaramente in tutta Europa, in tutto il mondo, e quindi i ragazzi sono gli unici che non ci fanno caso. Siamo noi vecchi, purtroppo, che venendo da esperienze passate, dove non era solito avere ragazzi di tutte le etnie, ci facciamo più caso, però i ragazzi sono proprio coesi, sono straordinari. Abbiamo vinto la Coppa Europa un mese fa ed assicuro che vederli insieme è uno spettacolo“.
La storia di Andy Diaz come cartina di tornasole dell’intero movimento: “E’ chiaro che Andy non possiamo dire che sia della nostra cantera, come si direbbe nel calcio, perché è venuto in Italia nel 2021, però lui dice sempre di essere diventato un triplista vero venendo in Italia, perché gli abbiamo dato un’organizzazione di lavoro. Anche questo fa piacere, perché significa che chi arriva da un’altra realtà e viene in Italia, sta bene, e sta bene perché abbiamo i mezzi, cerchiamo di mettere a disposizione tutto per i ragazzi, e Diaz è un esempio, ma in generale un pochino tutti stanno apprezzando come stiamo cercando, perché poi non è che ci siamo riusciti fino in fondo, stiamo cercando di migliorare l’approccio professionale o professionistico, che dir si voglia, a questa attività, perché comunque questi ragazzi fanno solo questo, ed hanno tante pressioni, ed è giusto che abbiano da parte della federazione tutta l’assistenza possibile. La società, l’ASD, anche la più piccola che ha 10 tesserati, fa il suo lavoro, perché porta porta al campo ragazzi, ma anche gente della mia età, perché comunque ormai lo sport non ha più frontiere, anche temporali, ormai fanno sport a livello importante anche persone della mia età, perché possono essere, secondo me, questi che fanno i cosiddetti Master o Amatori, che dir si voglia, possono essere l’esempio per le giovani generazioni. Chi ha in casa un Master sicuramente ha un nipote o un figlio che possono guardare al papà o al nonno come un esempio. Non è una cosa da poco, perché hai già Tamberi in televisione, ma a casa hai uno che magari va a correre le maratone la domenica, e vedi che sta bene, magari ha 60-70-80 anni, sta bene, e ti viene voglia di star bene come il nonno o il papà, e quindi sono tante piccole cose che, in uno sport così complicato come l’atletica, che è complicata perché è semplice, paradossalmente, però siccome la possono fare tutti, diventa difficile emergere, quindi tu fai un gesto naturale, più è naturale il gesto e più è facile l’approccio, però è altrettanto difficile emergere. Io faccio sempre il paragone con altri sport, nello specifico il tennis: se arriva un marziano e va a vedere una partita di tennis, la capisce immediatamente, se arriva un marziano e va a vedere una gara di atletica, non capisce niente, perché ci vuole una cultura più profonda, non perché chi va a vedere il tennis non ha cultura, ma per capire i salti, i lanci e le corse, devi avere chiaramente una preparazione più importante, ed è ovvio che è più difficile essere immediati, ed oggi l’immediatezza è il sale di tutto, infatti i 100 metri sono visti come la gara clou perché sono 100 metri, vai veloce, non c’è da pensare tanto“.
Il segreto di questi miglioramenti: “Il lavoro sul territorio lo fanno le società: i campioni, i talenti, ci sono sempre stati, nell”80, nel ’90, nel 2000, nel 2010, nel 2020, quindi prima di me i campioni, i talenti, ci sono stati sempre, anche prima di questo periodo, è chiaro che se, però, tu non investi su questi talenti, rimangono talenti, ma non riescono a fare il salto di qualità. La differenza con questa Federazione è che noi abbiamo creduto nei ragazzi, abbiamo messo ingenti risorse per tutelarli in tutto e per tutto nel loro percorso verso l’obiettivo, verso le Olimpiadi, piuttosto che i Mondiali o gli Europei, e questo ha ripagato immediatamente, perché anche solo il fatto che ci credi, e che lo porti in raduno, e che dai al ragazzo la possibilità di non avere mai problemi, o comunque il minor numero di problemi possibile, è per il ragazzo un sinonimo di fiducia, e se tu dai fiducia a questi ragazzi vieni ripagato esponenzialmente, questo lo posso assicurare“.
Il futuro, tra Tokyo 2025 e Los Angeles 2028: “Da qui al 2028 c’è tanta carne al fuoco perché, come dicevo prima, ormai non c’è più soluzione di continuità, non ci sono periodi di stanca, le gare cominciano a novembre e finiscono ad ottobre. Abbiamo il focus, chiaramente, quest’anno sui Mondiali di Tokyo, torneremo nella pista che è stata così generosa nel 2021, sperando di fare bene, è chiaro che fare bene non significa cinque medaglie, sei medaglie, otto medaglie o tre medaglie, fare bene significa che la squadra, come ha fatto a Parigi, migliori ulteriormente il numero di finalisti. Le medaglie contano, però se teniamo presente che a Tokyo eravamo 10 finalisti ed a Parigi 17, capiamo che il 70% di finalisti in più è tanta roba. Poi le medaglie è meglio vincerle, sono d’accordo, però cinque quarti posti dicono anche che se hai avuto fortuna a Tokyo, un po’ di sfiga a Parigi ce l’abbiamo avuta. Io credo che per Los Angeles, per Brisbane, c’è già l’ossatura della squadra, perché i giovani di adesso, Mattia Furlani, piuttosto che Battocletti, piuttosto che tutti i ragazzini che stanno salendo, siano quelli immediatamente per Los Angeles, per Brisbane abbiamo Doualla, abbiamo tanti ragazzi di 15-16 anni che stanno crescendo, ed è interessante vedere come questo circolo virtuoso, che pare interminabile, chiaramente è partito da quella sera dell’agosto del 2021, il 1° agosto 2021 dove abbiamo vinto due medaglie straordinariamente difficili da vincere, i 100 ed il salto in alto e lì, secondo me, abbiamo cambiato la storia dello sport italiano, non dell’atletica italiana, ma dello sport italiano, perché abbiamo avuto l’uomo più veloce del mondo e l’uomo che saltava più in alto del mondo, e sono due simboli che nessun altro sport, di squadra o individuale, può portare“.
Il ritratto che Stefano Mei fa di se stesso: “Sono un uomo fortunato, perché ho potuto vivere dello sport che amavo, l’atletica, la mia vita è stata segnata dallo sport sempre, ed oggi ho la fortuna di guidare la federazione più importante del CONI, perché è lo sport di base, dall’atletica si diramano tutti gli sport, e quindi so che è molto importante, e poi sono un uomo fortunato perché sono felicemente sposato, ho due figli, vivo a Forlì, che forse è la cosa meno fortunata, perché sono di La Spezia, mi manca il mio mare, però sto vivendo un bellissimo periodo, speriamo che continui e che l’atletica continui a dare molte soddisfazione a me, ma soprattutto agli sportivi italiani“.