Nuoto
Max Di Mito: “Tanti mi facevano la guerra quando allenavo Federica Pellegrini. Fino a 15 anni mai più di 6000 metri”
Massimiliano detto “Max” Di Mito è stato l’ospite dell’ultima puntata di Focus Summer, speciale nuoto, in onda sul canale Youtube di OA Sport. Il celebre allenatore che, negli anni, ha avuto sotto la propria guida tra le altre Federica Pellegrini e Benedetta Pilato, si è raccontato a 360° con la lente d’ingrandimento sui metodi di allenamento del nuoto.
“Se sento ancora Federica Pellegrini? – esordisce – Certo, ma soprattutto Matteo Giunta che è un collega, per cui scambiamo spunti e informazioni. Lei quando è in piscina la vedo sempre molto volentieri”.
Max Di Mito è uno degli allenatori più importanti della storia recente del nuoto italiano, ma parte sempre da un punto di vista ben preciso: “Gli allenatori non sono mai i protagonisti della vasca, sono i nuotatori. Come ho iniziato a fare questo lavoro? La prima parte della mia carriera di allenatore inizia a Bologna alla President, una società dove avevo anche nuotato. Anni bellissimi, la realizzazione di un sogno che ormai avevo quasi abbandonato e messo nel cassetto. Non pensavo si potesse realizzare. Facevo il preparatore atletico in palestra e lavoravo alla sera nelle discoteche. Poi la svolta, mi chiamano dalla President per allenare un gruppo di ragazzini che alla fine, nonostante nessuno credesse in loro, hanno fatto qualcosa di importante. Ho proseguito fino a circa il 2015 quando mi sono ammalato e da quel momento non sono più stato in grado di tenere quei ritmi”.
Una malattia che, gioco forza, ha cambiato tutto nella vita di Di Mito: “In quel periodo allenavo la nazionale di San Marino e dovevamo partecipare al Sette Colli di Roma. Era un periodo nel quale notavo che mi si gonfiavano molto le gambe nel corso della giornata ma, al mattino successivo, era tutto ok. Avevo sottovalutato la situazione. A Roma, però, decido di farmi controllare perchè vedevo che la situazione peggiorava. Mi consigliano accertamenti e la TAC mi rivela una cardiomiopatia da accumulo. Come ho preso la notizia? Alla Max, ho reagito in maniera forte. Era un momento nel quale avevo già iniziato ad allenare Benedetta Pilato, tra le altre, e ho cercato di tenermi impegnato il più possibile con i loro allenamenti”.
Di Mito ha sempre avuto un approccio particolare al nuoto e allo sport in generale: “La mente è più forte del fisico. Senza quella non può essere condizione mentale. Devi essere a posto per essere performante. Come nella vita di tutti i giorni. Se devi prepararti per un grande evento sai che le difficoltà non mancheranno e tutto sarà in salita per cui devi lavorare anche sulla mente. Io sono sempre stato un tecnico sui generis. Da grande appassionato di sport a tutto tondo sono sempre stato spinto ad andare a vedere cosa si faceva nelle altre discipline a livello soprattutto di preparazione atletica. Un aspetto che, in Italia, fino a metà degli anni ’90, quasi non esisteva. Parlo del lavoro a secco. Noi nel nuoto lavoriamo in assenza di gravità e con una propulsione generata sì dalle gambe, ma soprattutto dal tronco. Per questo motivo ho iniziato con la palestra prima ancora di nuotare. Quindi ho puntato gli allenamenti sulla corsa, sulla preparazione a secco in pista di atletica, fino al kayak. Federica Pellegrini era fortissima in questo”.
Come sono cambiati gli allenamenti nel corso degli anni? “Una volta c’era la mania di fare più chilometri possibili in vasca, ma io non l’ho mai sposata. I miei atleti, Federica compresa, hanno fatto i doppi allenamenti in età scolare, prima di Atene 2004, solo 2003-2004 una volta a settimana. Al mattino nuotavamo un’ora e circa 4.000 metri dalle 6.45 alle 7.45 poi, come nel caso di Pellegrini, andava a scuola dall’altra parte della strada. Normalmente una volta i doppi allenamenti erano scontati e si nuotavano anche 12-13 chilometri al giorno, anche con i ragazzi e molti smettevano presto proprio per questo motivo. Il mio doppio allenamento era la palestra. La facevamo 3 volte a settimana in orari separati dal nuoto”.
Un modo di lavorare che non è stato semplice da far accettare: “Sicuramente quando ero giovane non è stato facile. Se, infatti, da un certo punto di vista venivo apprezzato, da altri punti ho avuto tanti allenatori delle generazioni precedenti che mi hanno fatto la guerra, specialmente quando allenavo Federica. Forse perché – sorride – volevano allenarla loro. Io facevo altre cose: guardavo all’alimentazione, agli integratori, quando nessuno li assumeva, da prendere con criteri giusti e seguiti dai medici, valutavo la massa magra e la massa grassa, in poche parole tutte cose non usuali. Ho aperto una strada in poche parole, sono stato un precursore anche nell’allenamento in acqua. Federica, per esempio, fino al 2002-2003 con allenamento standard quotidiano faceva 6.000 metri al massimo, io preferivo sempre la qualità alla quantità”.
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