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Jannik Sinner, Flavia Pennetta e non solo: storie italiane di Cincinnati

Federico Rossini

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Sinner / LaPresse / Olycom

Il torneo di Cincinnati ha una storia che è sostanzialmente infinita. Si tratta di uno dei più antichi degli Stati Uniti, che di recente ha anche sventato un trasferimento altrove: sarebbe stato un grandissimo peccato veder andare via dal circuito un evento tanto benvoluto. In questa sede andiamo a occuparci di qual è stato il rapporto tra gli italiani e la città dell’Ohio, il tutto naturalmente in relazione all’Era Open.

Andiamo a prendere in considerazione per primo il campo maschile. Va ricordato che, a cavallo tra ere divise ed Era Open, era raro vedere italiani che si sobbarcavano il viaggio fino agli States. Nel 1969, prima volta di Cincinnati dentro l’Era Open, a tentare quella traversata fu Sergio Palmieri, poi diventato tante cose (agente di John McEnroe e direttore degli Internazionali d’Italia, per dirne due). Poi, nel 1973, ci provarono i due grandi amici, allora come oggi, Adriano Panatta e Paolo Bertolucci, ma fu la loro unica partecipazione: al secondo turno arrivò l’uno, al primo si fermò l’altro. Nel 1980, 1981 e 1984 a Cincinnati andò Gianni Ocleppo, nel 1985 Claudio Panatta, e nel 1986 Gianluca Pozzi.

Finalmente, dal 1990, con l’unificazione dei circuiti sotto l’unica sigla ATP, le cose iniziarono a cambiare e qualche italiano in più a Cincinnati iniziò a farsi vedere. Ai tempi, però, più di tutti c’era ancora Pozzi, il barese che aveva nei campi veloci i prediletti e che qui, nel 1991, batté Jakob Hlasek (lo svizzero, va ricordato, è stato numero 7 del mondo nonché ottimo doppista). E si ripeté nel 1992, peraltro quasi battendo un Ivan Lendl prossimo alla fine. Qui, nel 1994, sembrò poter risorgere Cristiano Caratti: batté Volkov, tenne testa a Becker. Chi, invece, fece un torneo veramente importante fu Renzo Furlan nel 1995: batté Mats Wilander (vicino alla fine), Sergi Bruguera e Wayne Ferreira per diventare il primo italiano nei quarti. Lo fermò Andre Agassi. Tanto per cambiare, ci riprovò Caratti nel 1996: passò le qualificazioni, batté Marc Rosset, l’altro grande svizzero prima dell’era Federer, e quindi uno Stefan Edberg all’anno d’addio, prima di cedere a Michael Chang.

Da allora, però, non ci furono più grandissimi squilli per un po’. Certo, qualche colpo isolato (Pozzi che batteva un giovane Andy Roddick), ma a cavallo tra i due millenni quelli semplicemente non erano gli anni. Nel 2006 una bella occasione la ebbe Daniele Bracciali, che perse al primo turno in tre tie-break contro Roddick, e nel 2008 Andreas Seppi batté prima Feliciano Lopez e poi Tomas Berdych, salvo poi perdere nettamente da Novak Djokovic che aveva già battuto Simone Bolelli in due tie-break. Nel 2014, complice una buona forma, fu Fabio Fognini a riprendersi la strada dei quarti. Favorevole ma non troppo: Edouard Roger-Vasselin, Lleyton Hewitt e Yen-Hsun Lu, per motivi diversi, erano ostacoli duri, ma dopo il francese, l’australiano e il taiwanese il ligure s’imbatté in Milos Raonic e in una partita a buon diritto dagli alti limiti di stranezza in cui il canadese concesse un solo game.

Di lì in avanti ancora per un po’ pochi squilli. Poi, dal 2021, qualche momento di sfortuna: Matteo Berrettini e Lorenzo Sonego che vengono sconfitti da Auger-Aliassime e Tsitsipas prima di poter giocare il derby uno contro l’altro, Jannik Sinner che perde in rimonta dal canadese nel 2022, la moria azzurra del 2023 Sinner compreso (per molto tempo Dusan Lajovic è rimasto l’ultimo non top 20 a battere l’altoatesino). E poi, nel 2024, un sapor di finalmente. Jannik, anche se nessuno lo sapeva ancora in pubblico, era ancora nel pieno delle problematiche legate al caso clostebol, anche se questo si sarebbe saputo solo dopo Cincinnati. Batté Michelsen, Thompson diede forfait, poi sconfisse Rublev e Zverev in due match complicatissimi prima di regolare Tiafoe. Ed oggi si riparte così: col numero 1 del mondo campione in carica.

La storia del torneo femminile è più complessa perché non sempre si è tenuto in Era Open, anzi: dal 1984 al 1987 e poi dal 1989 al 2003 sono state altre le città su cui la WTA (nei suoi vari nomi) ha deciso di puntare. Si ricordano, negli Anni ’70, approcci a Cincinnati da parte di Maria Nasuelli prima che il torneo cambiasse fondamentalmente tutto. Per la storia di cui abbiamo appena parlato, dunque, è necessario fare un lunghissimo salto in avanti fino al 2004. Fine dei problemi di sponsorizzazione degli Anni ’70, fine dell’esilio grazie all’intervento della Octagon, che comprò la licenza di Bol (la città croata nel giro ci è comunque tornata di recente) prima che la USTA rilevasse il torneo nel 2008. E, nel 2009, l’evento acquisì quello che oggi è lo status di 1000 anche con le donne, prendendosi lo spazio che avevano sia San Diego che Los Angeles tra gli altri (non citiamo due tornei a caso: uno lo vinse Raffaella Reggi nel 1987, l’altro fu strumento della corsa di Flavia Pennetta nel 2009).

Al tempo (parliamo di 2004) le italiane già fioccavano nelle parti alte della classifica mondiale: non sorprende, dunque, che parecchie volte si vedessero a livello di terzo turno come minimo. In quell’anno Flavia Pennetta, su tabellone a 28, raggiunse i quarti (fu battuta da Lindsay Davenport, che allora era ancora troppo per lei). Con l’avvento dello status che allora era di Premier 5, toccò alla brindisina scrivere in Ohio una pagina di storia: batté Morita, Szavay e Venus Williams in fila. Approdò ai quarti: battendo la slovacca Daniela Hantuchova sarebbe entrata in top ten. Ci riuscì: 6-3 6-3, prima azzurra di sempre tra le Prime Dieci. E poco importò che poi Dinara Safina la travolse in semifinale.

L’anno dopo per lei ancora quarti, stavolta sbattendo su Kim Clijsters in un tempo in cui la belga vinse due US Open di fila, mentre nel 2011 e 2012 si fermarono ai piedi delle migliori otto prima Francesca Schiavone e poi Sara Errani. Nel 2013 fu proprio quest’ultima che perse il derby con Roberta Vinci che valeva proprio l’accesso ai quarti: per la tarantina una nuova vittoria avrebbe significato top ten, ma vuoi la tensione, vuoi Jelena Jankovic, l’occasione se ne andò lì. Almeno per quel momento. Altri terzi turni vennero dopo (Pennetta 2014, Knapp 2015, Vinci 2016, Giorgi 2017), ma una coda che potrebbe ancora non essere definitiva c’è stata nel 2023. E porta il nome di Jasmine Paolini che passò le qualificazioni, battè Marta Kostyuk, Cristina Bucsa e sfruttò il ritiro di Elena Rybakina. Dopo la kazaka, però, c’era Coco Gauff, e al tempo con la speranza ormai certezza del tennis made in USA c’era poco da fare. L’anno dopo, cioè quello passato, si è fermata al terzo turno con la russa Mirra Andreeva.

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