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Ciclismo, servono gli infiltrati nelle squadre per scoprire il doping? L’UCI ed il modus operandi che fa discutere

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Il ciclismo è stato sconquassato dagli innumerevoli casi di doping negli anni ’90 e all’inizio del nuovo millenio. La vicenda Lance Armstrong, tra le altre, ha inevitabilmente lasciato scorie importanti nell’universo del pedale. Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, i controlli antidoping si sono perfezionati e si sono intensificati, facendo pulizia in gruppo. Sembra però non essere sufficiente e Amina Lanaya, direttrice generale dell’Unione Ciclistica Internazionale, ha delineato un possibile piano per combattere il doping.

Le parole della manager, rilasciate alla testata Ouest France, hanno avuto una vasta eco e stanno facendo discutere. In sostanza si parla di infiltrare alcune persone all’interno delle squadre ciclistiche per capire come operano e se ci sono delle trasgressioni: “Di questi tempi, tutto passa attraverso l’intelligence, l’investigazione, la collaborazione con la Polizia. Non credo che i controlli antidoping siano il principale strumento di lotta contro chi vuole imbrogliare. Io privilegerei l’intelligence e l’attività di investigazione“.

La proposta è stata scritta nero su bianco: “Sto per dire una cosa estrema forse, ma io credo che ci sia la necessità di infiltrarsi. In gruppo, nelle squadre. E valutare la possibilità di pagare gli informatori. Giuridicamente possibile? Questo è da vedere, ma è il solo modo di riuscirci e potrebbe avere un effetto dissuasivo“. Sarebbe un modus operandi rivoluzionario e che ha già fatto discutere, osteggiato da squadre, addetti ai lavori e ciclisti.

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Ad esporsi in prima persona è stato Gianni Bugno, Presidente del CPA ed ex Campione del Mondo, in un’intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport: “Parlo a titolo personale più che nel mio ruolo istituzionale. Sembrava che il problema del doping fosse in via di risoluzione, ma se si valutano azioni di quel tipo vuol dire che non se n’è tanto convinti. Ma il ciclismo è l’unico sport che ha sempre dato il massimo per fare chiarezza, i corridori sono quelli più sotto tiro e questo ulteriore inasprimento, o provocazione se la vogliamo chiamare così, mi sembra motivato solo se ci fossero dei sospetti”.

Il monzese prosegue: “Non è mia intenzione criticare, pure il CPA fa parte del sistema UCI. Però… Non se n’è parlato tra di noi e non c’è ancora nulla di concreto. Una persona non può dire tutto quello che vuole, ci sono delle cose che vanno concordate tra le parti… Neppure per le squadre sono piacevoli queste affermazioni. Vanno capite, studiate, e magari potremmo chiedere delle precisazioni in tal senso. Voglio anche capire se le cose riportate siano letterali oppure ci possano essere stati dei fraintendimenti. Stiamo parlando di sport, non di criminalità”.

Foto: Lapresse

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