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Wimbledon 2021, Matteo Berrettini fa la storia. Tutti gli italiani in semifinale in uno Slam

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Con quella di Matteo Berrettini a Wimbledon 2021 diventano 19 le semifinali Slam raggiunte da giocatori italiani, riferendoci soltanto al settore maschile. Solo due di queste, però, sono giunte sui prati più celebri al mondo, nel luogo in cui più di ogni altro la tradizione si rinnova. Due è il numero da tenere a mente anche per un altro motivo, perché sono le volte in cui il romano, con questa, è al penultimo atto di uno dei quattro tornei maggiori.

Partiamo però dal discorso legato a Wimbledon, e a uno dei due giocatori simbolo del tennis italiano nella storia, vale a dire Nicola Pietrangeli. Sui prati aveva già vissuto un momento di gloria con la finale in doppio, insieme a Orlando Sirola, nel 1956, ma in singolare riuscì ad andarci vicino nel 1960. Dall’altra parte della rete, Rod Laver: l’australiano non aveva ancora idea del fatto che avrebbe realizzato per due volte il Grande Slam, ma quell’anno corse un grande rischio con Pietrangeli, che aveva vissuto un torneo dalle grandi emozioni: batté Martin Mulligan (futuro italiano) al secondo turno, il padrone di casa Bobby Wilson al terzo, in cinque set, e poi Barry MacKay, numero 2 del seeding, in un violento quarto di finale in cui il primo set finì 16-14. All’epoca di tie-break non ce n’era nemmeno l’ombra, l’americano perse in quattro parziali e venne Laver. E fu una battaglia, una vera: la vinse però l’uomo d’Australia, che si prese uno spavento non da poco visto che Pietrangeli, nel quinto set, fu 4-1 e poi ancora 4-4 30 pari. In finale ci sarebbe stato Neale Fraser. Al tempo, Gianni Clerici parlò, vista la situazione e dato il fatto che il gioco dell’italiano sarebbe stato enormemente fastidioso per l’altro finalista, in questo modo: “Davvero Nicola ha perso l’occasione della vita“.

Torniamo al passato recente: Matteo Berrettini la semifinale l’aveva già raggiunta agli US Open 2019, da testa di serie numero 24 e dopo aver avuto un tabellone di signor livello, da Richard Gasquet al primo turno a Gael Monfils ai quarti di finale, passando, in questi estremi francesi, da uno dei più bei successi della sua carriera, l’ottavo con il russo Andrey Rublev sul nuovo Louis Armstrong Stadium. Quello con Monfils, invece, fu un quarto drammatico, finito al tie-break del quinto set, in un’epoca stavolta in cui ogni Slam si è messo a fare come gli pare in tema di ultimo parziale. L’ostacolo successivo fu troppo importante: Rafael Nadal. per due set il romano se la giocò bene, nel primo era avanti 4-0 nel tie-break, ma al terzo finirono le energie. La scalata era cominciata molto prima, sarebbe stata vibrante a New York e avrebbe portato Berrettini dritto alle ATP Finals. Un obiettivo che, anche quest’anno, è tutt’altro che peregrino, tanto più che si giocano a Torino.

Ritorniamo però a Pietrangeli, che è stato il più prolifico semifinalista della storia d’Italia a livello Slam. Non ci si trovava ancora nell’Era Open, ma sulla terra rossa il più forte era lui, che nel 1959 demolì praticamente tutto quello che gli si trovava davanti, compreso il già citato Fraser in semifinale. In finale perse un set con il sudafricano Ian Veermak, ma lo travolse nei successivi tre. Altro giro nel 1960, in cui di azzurri al penultimo atto, per la prima e ultima volta, ce ne furono due. Uno era naturalmente Pietrangeli, l’altro era Sirola, il suo compagno di doppio, il gigante che in quell’anno permise all’Italia di disputare la prima, storica finale di Coppa Davis. Il gigante di Fiume si permise di battere, sulla strada, prima Roy Emerson e poi ai quarti Barry MacKay (che era numero 1 del tabellone), con in mezzo il padrone di casa Pierre Darmon. prima di perdere dal cileno Luis Ayala, a sua volta uno dei grandi del tempo sul rosso. Pietrangeli, dal canto suo, trovò ai quarti Andres Gimeno, uno che sarebbe diventato qualcuno in futuro insieme a Manolo Santana, e lo batté in quattro parziali. Nessun problema col francese Robert Hallet in semifinale, poi in finale ci vollero cinque set per battere Ayala.

Vennero poi due altre finali a Parigi: nel 1961, dopo aver sconfitto tra gli altri un giovanissimo John Newcombe e Nikola Pilic (di cui, a Wimbledon, 12 anni dopo, qualcuno si sarebbe ricordato molto bene), Pietrangeli arrivò in finale da favorito dopo aver battuto lo svedese Jan-Erik Lundquist. Venne però il momento di Santana, che riuscì a fermare il dominio apparentemente inarrestabile di quel ventottenne nel pieno delle sue forze. I due avrebbero disputato un’altra finale insieme, nel 1964, seguendo quasi lo stesso percorso del 1961 in semifinale (cambiò l’avversario di Santana, Darmon invece di Laver). Anche stavolta, però, Pietrangeli dovette mollare. Non sarebbe mai più andato tanto avanti in uno Slam.

Prima di lui, c’erano stati altri uomini in grado di arrivare al penultimo atto al Roland Garros, terreno di caccia preferito del nostro tennis. Il Barone Uberto de Morpurgo, che l’anno prima aveva dato filo da torcere a un certo Bill Tilden (che, con le racchette moderne, alla battuta avrebbe creato crateri in campo), nel 1930 riuscì a farsi largo fino al penultimo atto. Lì, però, c’era Henri Cochet, uno dei Quattro Moschettieri della Francia dell’epoca, che assieme a Suzanne Lenglen scrissero un pezzo di storia raccontato ancora oggi. Per De Morpurgo non ci fu nulla da fare.

Meglio andò a Giorgio De Stefani, in grado, due anni dopo, di sfruttare benissimo un corridoio favorevole e arrivare in finale battendo in semifinale il tedesco Roderich Menzel, prima di arrendersi a Cochet non senza aver cercato una rimonta: 6-0 6-4 4-6 6-3 fu il risultato finale. Sarebbe rimasta questa, per 27 anni, l’unica finale italiana a Parigi. E, ad oggi, è ancora la quarta volta di un proveniente dallo Stivale a raggiungere l’ultimo atto in una delle quattro più conosciute prove del tennis. De Stefani, ad ogni modo, in semifinale ci tornò due anni dopo, battendo Fred Perry (che gli Slam, in quegli anni, li avrebbe collezionati tutti) e arrendendosi solo a Gottfried Von Cramm, il tedesco la cui storia meriterebbe parecchi capitoli a parte.

Prima dell’Era Open anche Beppe Merlo, nel 1955 e 1956, raggiunse le semifinali a Parigi. Furono lo svedese Sven Davidson prima e, poi, l’australiano Lew Hoad, un giocatore di talento e classe come pochissimi se ne sono visti, a eliminarlo. Del 1956 è però l’episodio, dei quarti di finale, che Nicola Pietrangeli raccontò a Lea Pericoli in “C’era una volta il tennis” (Rizzoli 2007) per far capire il personaggio Merlo, già tra i “padri” del rovescio a due mani: “Beppe non rubò mai un punto su un campo da tennis. Andava addirittura contro il giudizio degli arbitri. Giocando con Remy, campione di Francia, sul Centrale di Roland Garros, al quinto set corresse il giudice di sedia e regalò il quindici che mandò il francese a servire per il match. Fino a quel momento aveva avuto tutto il pubblico contro. Quando Beppe vinse venne giù lo stadio“.

E veniamo ai tempi di Adriano Panatta, che è stato l’ultimo vincitore italiano di uno Slam, nello specifico proprio quello francese, ma prima del 1976 aveva già raggiunto il penultimo atto. Accadde nel 1973, e fu Pilic (di cui, appunto, a Wimbledon si sarebbero poi ricordati per la grande ribellione generale che decimò il tabellone) a eliminarlo dopo aver già messo fuori Paolo Bertolucci. Nel 1976, invece, nessuno lo poté fermare. O meglio, avrebbe potuto farlo il quinto set della finale con Harold Solomon, ma Panatta vinse in quattro, dopo che nel penultimo atto aveva già fatto fuori Eddie Dibbs e ai quarti Bjorn Borg, che senza di lui di Roland Garros ne avrebbe forse vinti otto invece di sei. E avvenne anche nel 1975, solo che stavolta dalla Svezia all’uomo cresciuto al Parioli vennero cattive notizie nella forma di una semifinale persa in quattro set dopo che, al terzo turno, aveva eliminato Ilie Nastase.

E proprio con Borg perse Corrado Barazzutti nel 1978, in una delle più truculente sconfitte mai rifilate da qualcuno in un penultimo atto Slam: 6-0 6-1 6-0. Del 1977, invece, è l’episodio di Jimmy Connors che, in semifinale agli US Open, gli saltò la rete e cancellò il segno di una palla fuori davanti agli occhi. “The ball was good“, senza sorprese, non fece esattamente calmare i nervi di Barazzutti.

Ci sarebbero voluti quarant’anni perché un altro italiano tornasse in una semifinale Slam: nella memoria di tanti la cavalcata, inaspettata, di Marco Cecchinato è viva perché si è quasi rivelata la chance di far capire che si poteva arrivare là dove, da tanto tempo, nessuno aveva osato. Pablo Carreno Busta, David Goffin, Novak Djokovic: la sequenza la si ricorda ancora oggi, ma pochi si ricordano che, prima di arrivare a Dominic Thiem (con sconfitta), il siciliano rischiò tantissimo al primo turno con il rumeno Marius Copil.

Foto: LaPresse

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