Ciclismo

Parigi-Roubaix 1999: l’assolo in solitaria di Andrea Tafi, l’ultima apoteosi azzurra

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Andrea Tafi è stato uno dei più grandi specialisti italiani delle corse in linea degli ultimi trent’anni. Non era un corridore che vinceva spesso e mai ha superato quota cinque successi stagionali, ma sapeva esaltarsi nei grandi appuntamenti. Nel suo palmares, tra le altre affermazioni, sono presenti il Giro di Lombardia del 1996, il Giro delle Fiandre del 2002, la Parigi-Tours del 2000, la Parigi-Bruxelles del 1996, il Campionato Italiano del 1998, tre Giri del Lazio, la Coppa Placci del 1996 e, soprattutto, la Parigi-Roubaix del 1999. Quest’ultimo fu il trionfo più significativo e di maggior pregio colto da Andrea Tafi nei suoi diciassette anni da professionista.

Il nativo di Fucecchio aveva nel mirino la Regina delle Classiche sin dal 14 aprile 1996. Una data entrata nella storia. Quel giorno, infatti, si svolse la 94ma edizione della corsa, che fu teatro di un dominio mai visto prima da parte della Mapei. Il sodalizio di patron Giorgio Squinzi umiliò letteralmente la concorrenza. In testa, nelle fasi finali, rimasero tre atleti del team sponsorizzato dalla S.P.A. italiana: Gianluca Bortolami, il fuoriclasse belga Johan Museeuw e lo stesso Tafi. Dall’alto arrivò l’ordine ai due azzurri di lasciar vincere Museeuw. Andrea voleva giocarsi le sue carte, ma fu Bortolami a farlo desistere. In diretta televisiva si sentì pure quest’ultimo ammonire il toscano: “Andrea non fare cazzate!“. Il belga, tra l’altro, forò due volte. In ambedue le occasioni, però, i compagni si fermarono ad aspettarlo. Alla fine i tre arrivarono in parata nel velodromo e Museeuw poté alzare le braccia al cielo.

Un boccone amaro per Tafi. Probabilmente l’azzurro quel dì era il più forte. E poi avere l’occasione di vincere la Roubaix non è una cosa che capita tutti i giorni. Nel 1997 il toscano non riuscirà a giocarsi le sue carte. Nel 1998 sarà secondo, ma a oltre quattro minuti dal compagno di squadra Franco Ballerini. E arriviamo, così, al 1999, ove Andrea, finalmente, riesce a levarsi la scimmia dalle spalle. L’11 aprile dell’annata che chiude il millennio è la data che permette ad Andrea di entrare nel mito. Fa capire di essere il più forte già nella foresta di Arenberg, quando mette in fila tutto il gruppo e porta via un drappello comprendente anche George Hincapie, Leo Van Bon, Jo Planckaert, il fenomeno Frank Vandebroucke e due suoi compagni: Wilfried Peeters e il rapidissimo Tom Steels. Più avanti, tuttavia, è vittima di una foratura. Sembra la fine, ma a bordo strada trova un addetto al cambio ruote Mapei che Patrick Lefevere, il DS del team, aveva mandato là in moto. Tafi sostituisce la gomma al volo e torna nel plotone dei primi.

A 35 chilometri dal traguardo, dopo innumerevoli scatti, riesce finalmente a scrollarsi di dosso tutti i rivali. Ben scortato da Peeters e Steels, che rompono i cambi alle sue spalle, Tafi vola via. Guadagna oltre due minuti sui suoi ex compagni di fuga. Il grosso del gruppo, ove c’è Museeuw a proteggere la sua azione, nel mentre, non riesce a riagguantare nemmeno il plotone all’inseguimento del toscano. Tafi arriva tutto solo nel velodromo. Veste la maglia tricolore, il che aggiunge anche un pizzico di magia in più al suo successo. I tifosi presenti a Roubaix, per lo più francesi, all’unisono gridano il coro: “TA-FÌ-TA-FÌ”, dando vita a un’immagine che resterà, per sempre, nella storia del ciclismo. Il toscano ha domato l’Inferno del Nord e, ora, può godersi quell’atmosfera da favola. Dopo tre anni d’inseguimento la Regina delle Classiche è finalmente sua. Ad oggi, quello resta l’ultimo trionfo tricolore sulle strade più iconiche del mondo delle due ruote.

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luca.saugo@oasport.it

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