Pallavolo

Olimpiadi. L’Italvolley e l’inizio della “maledizione olandese” a Barcellona: il giustiziere Van der Meulen e l’ultima, maledetta, sconfitta per 17-16

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Se si parla di Olimpiadi e di Nazionale italiana di pallavolo maschile la terza espressione che solitamente si usa è “stregate”. Può la squadra più forte dell’ultimo decennio dello scorso secolo non aver vinto il torneo più importante del mondo? Può. E quella squadra si chiama Italia. La maledizione, per la Nazionale tre volte campione del mondo, quattro volte campione d’Europa dal 1989 al 2000, iniziò il 5 agosto 1992 in una bollente mattinata di Barcellona.

Paolo Tofoli in regia, Andrea Zorzi opposto, Lorenzo Bernardi e Luca Cantagalli in banda, Andrea Gardini e Andrea Lucchetta centrali: questi gli eroi che portarono l’Italia al trionfo nell’Europeo in Svezia nel 1989 e un anno dopo al Mondiale in Brasile battendo 3-1 Cuba in semifinale. Artefice di questi successi, impensabili fino a pochi anni prima, è Julio Velasco, tecnico argentino trapiantato in Italia e già vincente sulla panchina di Modena. E’ lui a prendere in mano la formazione azzurra che a Seul aveva chiuso con un modesto nono posto e a condurla sul tetto del mondo. Vinti gli Europei, i Mondiali e ben tre edizioni, le prime, della World League, all’Italia manca solo l’oro a cinque cerchi per la definitiva consacrazione.

Barcellona è l’occasione giusta, forse irripetibile per gli azzurri, che vogliono scrivere una pagina indelebile nella storia di questo sport. Gli avversari sono forti ma non appaiono imbattibili e l’Italia, nonostante la sconfitta nella finale degli Europei 1991 contro la Russia, appare un’armata. Velasco, in vista del torneo olimpico, scende inusualmente a compromessi e chiama in azzurro Fabio Vullo, alzatore pluridecorato del Messaggero Ravenna. Tra i due non c’è grande feeling e qualche scricchiolio filtra dallo spogliatoio azzurro. A Barcellona, però, l’Italia parte bene, battendo in un girone preliminare tutt’altro che irresistibile, la Francia 3-1, Spagna e Giappone 3-0 e il Canada di Stelio De Rocco 3-1. L’Italia, già certa del primo posto, affronta la partita meno semplice del girone contro gli Stati Uniti e la perde 3-1 dopo aver vinto il primo set. Campanello d’allarme? In casa azzurri non ci si fa troppo caso, ma le prime avvisaglie del disastro emergono. Due giorni dopo è in programma il quarto di finale con l’Olanda, avversario giovane, tosto, che si è qualificato al secondo turno per il rotto della cuffia grazie alle vittorie con le tutt’altro che irresistibili Corea del Sud e Algeria.

La partita inizia male per gli azzurri. Il primo set vede il successo 15-9 degli Orange, che però perdono il loro alzatore, Peter Blangè, 2 metri di classe purissima che si procura una contrattura muscolare. In regia entra Avital Selinger, 175 centimetri, quasi 30 in meno di Blangè, un approdo sicuro per l’attacco avversario, figlio del tecnico olandese Arie Selinger. La partita cambia. L’Italia sembra riuscire ad imporre la propria superiorità tecnica e vince 15-12 e 15-8 i due set successivi ma proprio alla fine del terzo, con l’Italia avanti 14-5 che si mette passiva in attesa dell’errore avversario, arrivano le avvisaglie della resa. Nel quarto set gli azzurri sbattono contro il muro arancione e raggranellano la miseria di due punti. Si va al tie break, espressione sconosciuta fino a poco tempo prima nel volley. Solo per il quinto set si usa il sistema del rally point system, che di lì a sei anni inonderà il mondo della pallavolo. Bandito il cambio palla, un punto per ogni azione e soprattutto cancellata, per motivi televisivi, la regola che dà la vittoria solo con due punti di vantaggio. La squadra che arriva per prima a 17 vince, anche con un solo punto di vantaggio.

L’Olanda si affida a Olof Van der Meulen, opposto che in Italia ha fatto l’anno prima una breve e poco fortunata apparizione a Montichiari e scatta avanti 7-4. L’Italia, con Vullo in regia al posto di uno spento Tofoli, reagisce e pareggia a quota 12, ma gli Orange mantengono un cambio palla di vantaggio fino al 15 pari. Van der Meulen, dopo un’incredibile difesa di Zwerwer su Pasinato, dalla seconda linea regala il doppio match point agli olandesi. Il primo è annullato da Bernardi e il destinatario della palla decisiva alzata da Selinger è ovviamente Van der Meulen, che da seconda linea manda a sbattere la sfera sul braccio sinistro di Cantagalli a muro e poi sull’asta. Mano e fuori, punto e vittoria all’Olanda. Cantagalli che accenna a una timida protesta, gli olandesi che festeggiano impazziti di gioia e vanno in semifinale.

L’Italia è fuori dalle prime quattro, il sogno olimpico è spezzato. E Van der Meulen, otto punti su 17 in quel tiebreak, sarà per sempre “quello dell’ultimo punto”. Proprio le Olimpiadi di Barcellona saranno l’ultima volta per il tiebreak a 17 e l’Italia la vittima più illustre di quel sistema di punteggio. L’Olanda batterà Cuba in semifinale e porterà a casa un argento storico, perdendo con il Brasile in finale. L’Italia battè Spagna e Giappone e finì con un quinto posto amarissimo fra polemiche e rimpianti. Italia e Olanda si ritroveranno quattro anni dopo ad Atlanta in finale e il risultato sarà sempre lo stesso, ma questa è un’altra storia.

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