Biathlon

Christian De Lorenzi: “Quell’ultimo poligono con Fourcade…Nella mia generazione si gettarono i semi, ora il biathlon è esploso”

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Abbiamo avuto il piacere di intervistare per la rubrica ‘Azzeramento’ Christian De Lorenzi, ex biathleta valtellinese classe 1981. Vanta ben due podi individuali in Coppa del Mondo e quattro in staffetta, oltre ad un settimo posto, sebbene con qualche rimpianto, nell’individuale dei Giochi Olimpici di Torino 2006. Con l’ex-tecnico dello Sci Club Alta Valtellina abbiamo fatto il punto ricordando la sua carriera e valutando lo stato attuale del biathlon azzurro.

Come stai, sei passato da dover gestire la carabina e gli sci a dover stare in una scrivania, cambiando totalmente vita e soprattutto con due piccoli…

“Dopo il ritiro nel marzo 2016 a settembre è nato il mio secondo figlio e quindi adesso mi godo loro con Michela Andreola (ex biathleta) e sono un Carabiniere della Forestale. Seguo sempre i ragazzi ex compagni del biathlon, mi piace girare in bicicletta e mi tengo comunque in forma”.

Perché il tuo soprannome era “Jap”, ci puoi spiegare da dove deriva?

“Ho ereditato il soprannome da mio papà, perchè quando era piccolino aveva gli occhi a mandorla e lo chiamavano così per il riferimento al Giappone. Tanti anni fa ha deciso di aprire una pizzeria chiamandola appunto Jap, da lì è rimasto il nome di famiglia, per cui sono passato dall’essere Jappino fino a Jappone”. 

Riesci ad allenarti ancora dopo il tuo ritiro, come ti stai attrezzando in questi giorni a casa?

“Un atleta ha sempre dentro la voglia di fare sport, altrimenti non si sente bene con se stesso. In questo periodo sono sempre sui rulli, come gli atleti professionisti. L’invito per tutti è quello quindi di stare a casa, c’è ancora qualche bricconcello in giro che prova a fare il furbo…”.

Dal passato al futuro: 20 Anni dopo Torino l’Italia tornerà ad ospitare i Giochi Olimpici Invernali. Quali sono i tuoi ricordi della manifestazione a cinque cerchi, dove sei arrivato settimo nell’individuale e dove hai sparato per la medaglia?

“I ricordi sono sempre nitidi: l’emozione è ancora grandissima, forse la più grande della mia carriera. Era la mia prima Olimpiade ed ero molto giovane e inesperto. L’Italia ci chiedeva le medaglie e anche nella staffetta ci siamo andati vicino, ma in quell’individuale anche Pallhuber e Vuillermoz hanno come me fatto delle belle serie, la stessa Michela Ponza è arrivata quinta. Già in quegli anni è iniziata la semina, ci sono voluti tanti anni per raccogliere i risultati che stanno arrivando ora…con le mosse giuste da parte di Fabrizio Curtaz alla guida nelle ultime stagioni. L’interesse mediatico è aumentato esponenzialmente grazie ai risultati di Dorothea e di tutto il team, quando ero atleta il biathlon non era seguito in Italia e non era ben pubblicizzato e trasmesso. Ora con i social e i risultati che stanno arrivando, chi si appassiona difficilmente abbandona poi questo sport perchè è davvero affascinante”.

Nel finale di stagione del 2010 sono arrivati i tuoi due podi in CDM: il 14 marzo 2010 sei arrivato secondo nell’inseguimento di Kontiolahti, ricordato recentemente perchè Martin Fourcade ottenne il primo successo in Coppa del Mondo della sua carriera, hai eguagliato questo risultato poi anche nella sprint di Khanty-Mansiysk.

“Arrivavo alla mia seconda Olimpiade nel pieno della maturità, a 29 anni: ai Giochi volevo assolutamente fare bene, era difficile ma fattibile cogliere una medaglia, si è visto poi nel mese successivo. E’ stata una stagione strana, non sono mai riuscito a trovare l’equilibrio giusto, mi sono creato troppe aspettative. Inoltre c’è stato anche il cambio di allenatore dopo le Olimpiadi di Vancouver che ha creato un po’ di problemi interni alla squadra. Nel mese successivo avevo tanta rabbia e adrenalina, senza la pressione dei Giochi mi sono liberato ed è uscito il mio reale valore: ho avuto la possibilità di lottare con Fourcade all’ultimo poligono, a riguardarla oggi mi fa davvero impressione la sfida con quello che oggi può essere considerato tra i migliori atleti nella storia di questo sport”.

Nel gruppo Facebook ‘Biathlon Italia’ in questi giorni stanno postando tutte le gare più belle del passato, tra queste la staffetta maschile di Oberhof del 2013. Una vittoria a sorpresa nel vento e nella nebbia con Dominik e Markus Windisch e Lukas Hofer, che ha riportato l’Italia al successo dopo quasi 18 anni. La Russia al secondo cambio aveva più di un minuto di vantaggio, Italia che utilizza solo 5 ricariche. Per te poi era stato un dicembre difficile per via della bronchite…

“Quella è stata una stagione davvero particolare, che ha coinciso con l’inizio del declino della mia carriera a livello di risultati: la bronchite che ho accusato a inizio stagione mi ha condizionato molto, anche perchè ho gareggiato in condizioni difficili di salute per non mollare la squadra e ad Oberhof è arrivata una delle soddisfazioni più grandi perchè sono salito sul gradino più alto del podio e per di più in compagnia dei miei compagni: vento, nebbia e neve, in poche parole Oberhof e ci siamo trovati in una buona posizione ma con grande distacco. Era l’esordio in staffetta di Dominik Windisch, per cui non avevamo grandi aspettative a livello di risultato. Ci siamo comportati davvero bene al tiro, ognuno ha fatto il suo e quando ho visto uscire Lukas Hofer dal poligono con Volkov ero convinto che se lo sarebbe mangiato. Non abbiamo festeggiato più di tanto nonostante la grandissima gioia, eravamo già focalizzati per le gare successive”.

La tua specialità negli anni è stata forse l’individuale. Come si allena questo tipo di gara dal momento che ce ne sono poche in stagione?

“Sono dovuto diventare gioco forza un buon tiratore, perchè nelle ultime stagioni il passo sugli sci era meno competitivo. Ma nelle prime stagioni in Coppa del Mondo non lo ero assolutamente, nel senso che me la giocavo con “o la va o la spacca”. Con l’esperienza e con il fatto di non poter più sbagliare, essendo salito il livello, ho migliorato anche il tiro. Un biathleta apprezza l’individuale perchè è una gara molto più aperta per poter centrare il grande risultato: a differenza della sprint dove se la possono giocare in 15 per salire sul podio, nella 20 km si allarga il gruppo fino a 30. L’approccio è molto mentale ma non va presa a livello di passo troppo forte per gestire le energie fino alla fine: puoi provare in allenamento ma non si hanno le stesse sensazioni della gara, per cui l’esperienza arriva con le competizioni”. 

In passato sei stato anche tecnico dei giovani dello Sci Club Alta Valtellina, come ti sei trovato nel ruolo di allenatore per trasmettere la tua esperienza? Michele Molinari è il prospetto più interessante del gruppo…

“Ho seguito per due stagioni il gruppo dello Sci Club Alta Valtellina e del comitato Alpi Centrali, ora faccio fatica con i bambini a poterli seguire sul campo, per cui non riuscirei a lavorare con loro come vorrei. Ho capito alcune cose in più del biathlon che da atleta non vedi, sono molto contento di come sta evolvendo Michele ma come anche tutti i ragazzi della Nazionale, dobbiamo ragionare a livello di Italia e non a livello di comitato. Il lavoro deve essere unico con gruppi di lavoro diversi ma che viaggiano verso la stessa direzione”.

Nell’intervista a fine stagione con Hofer abbiamo ragionato sull’ingresso in squadra dei due giovani Giacomel e Bionaz. In generale, ad ogni inserimento di un giovane in questo ambiente, Lukas dice di voler riservare ai ragazzi lo stesso tipo di accoglienza che hai riservato tu a lui quando fece le sue prime apparizioni con la prima squadra, tramandando questa sorta di tradizione. Quanto ti fa piacere?

“Le parole di Hofer mi fanno un enorme piacere, c’è sempre stato un grande rapporto di amicizia tra noi e quello che ha imparato l’ha poi sempre messo in pratica. A mia volta devo ringraziare Renè Laurent Vuillermoz che mi accolse in squadra e si comportò con me allo stesso modo. Luki forse l’ho coccolato un po’ più degli altri, mi ha sempre colpito in lui il suo temperamento e la voglia di allenarsi fin da quando è entrato in squadra. Un impegno encomiabile e mi fa molto piacere che faccia lo stesso con i giovani, non è così scontato questo discorso nelle varie nazionali. Ci sono meccanismi interni alla squadra in cui non sempre valorizzano questo discorso di crescita”.

 

 

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nicolo.persico@oasport.it

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Foto: Romeo Deganello

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