Ciclismo

Involuto ed inefficace: il Tour de France respinge la controfigura del vero Fabio Aru

Federico Militello

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Il Tour de France ha respinto Fabio Aru. A 26 anni appena compiuti, il sardo è già una realtà del ciclismo mondiale. Nel biennio 2014-2015 non ha mai chiuso una grande corsa a tappe al di fuori della top5: 3° e 2° al Giro d’Italia, 5° e vincitore lo scorso anno alla Vuelta a España. Piazzamenti che, agguantati ad un’età così giovane, testimoniano qualità fisiche e doti caratteriali fuori dal comune.  Al primo vero esame con la Grande Boucle, tuttavia, il sardo è uscito con le ossa rotte, finendo addirittura fuori dalla top10 dopo non aver brillato per le intere tre settimane.

I primi segnali poco incoraggianti erano arrivati già sui Pirenei ad Arcalis, quando il capitano dell’Astana accusò un minuto dai migliori, ‘salvandosi’ solo grazie all’apporto di un gregario d’eccezione come Vincenzo Nibali. Dopo aver retto sul Monte Ventoux, l’italiano è poi naufragato nella cronometro da 37,5 km, perdendo terreno da tutti i rivali per la generale. A quel punto la condizione di Aru è sembrata crescere, fino al terzo posto nella prova contro il tempo di Megeve, prova che aveva illuso sulle possibilità del Cavaliere dei Quattro Mori di risalire fino al podio. Oggi, poi, l’imbarcata finale, con la crisi sopraggiunta all’imbocco del durissimo Col de Joux Plane e 13 minuti di distacco dal gruppo maglia gialla: di sicuro il punto più basso della sua carriera.

Al di là dell’anonimo piazzamento finale (13°, ma per un corridore di questo calibro anche una top10 non avrebbe di certo mutato il giudizio finale), ciò che preoccupa in ottica futura è la modalità in cui è maturato. E’ vero, per larghi tratti Aru ha tenuto il passo dei migliori in salita, ma non li ha mai staccati. Non è mai stato brillante a tal punto da creare un gap e fare la differenza. Non abbiamo mai visto, per intenderci, il corridore che aveva dato spettacolo al Giro ed alla Vuelta con continue e brucianti accelerazioni. Sovente ha fatto lavorare la squadra a ranghi compatti per sfiancare i rivali, ma i suoi scatti si sono rivelati telefonati e privi di efficacia, mossi più dal cuore che dalle gambe. Ha pagato i cambi di ritmo in salita, ovvero sul suo terreno prediletto, lui che è uno scalatore puro. Anche a cronometro, se escludiamo l’atipica frazione di Megeve, quasi interamente in salita, è apparso addirittura regredito rispetto all’ultimo biennio. Il Tour de France che si concluderà domani a Parigi ci lascia, in sostanza, l’amara sensazione di un Fabio Aru involuto, proprio nell’evento che avrebbe dovuto sancirne la definitiva esplosione. Inutile negarlo: l’obiettivo della vigilia era il podio e, per come si era messa, difficilmente si sarebbe materializzato anche dopo la ‘cotta’ di oggi.

Chiaramente qualcosa non ha funzionato in sede di preparazione. Ad inizio aprile Aru si ritirò al Giro dei Paesi Baschi dopo una caduta che, nelle settimane successive, gli ha provocato problemi alla schiena. L’azzurro ha rincorso continuamente una condizione ideale, senza mai riuscire a trovarla. Al Giro del Delfinato vinse una tappa grazie ad un numero in discesa, salvo accusare sempre minuti dai big in salita. Si diceva che il vero Aru sarebbe uscito fuori nella terza settimana della Grande Boucle. Sembrava così, ma l’ultima frazione alpina ne ha decretato il definitivo naufragio.

Ora il sardo disputerà le Olimpiadi di Rio 2016 in appoggio a Vincenzo Nibali, mentre andrà verificata una sua eventuale partecipazione alla Vuelta. Di sicuro domani lascerà Parigi un corridore ferito nell’orgoglio, alle prese con la prima, vera sconfitta di una carriera da predestinato. Se saprà farne tesoro, analizzando ciò che non ha funzionato per non ripetere certi errori in futuro, allora probabilmente potrà uscire rafforzato dopo una batosta cocente e difficile da smaltire.

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federico.militello@oasport.it

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