Ciclismo
Marco Villa: “Bilancio mondiale negativo, siamo ottimisti ma bisogna cambiare mentalità”
Marco Villa, milanese di 45 anni, dirige la nazionale maschile di ciclismo su pista dopo essere stato uno dei grandi talenti azzurri di questo settore negli anni Novanta: alternandola all’attività su strada, nei velodromi Villa vinse tre medaglie iridate ed un bronzo olimpico nell’Americana in coppia con Silvio Martinello.Ora la sua esperienza è al servizio di uno sport che, in Italia, non sta certo vivendo una fase positivo: partendo dall’analisi dei recenti Mondiali di Cali, abbiamo cercato di fare con lui un ragionamento più ampio sulla pista azzurra anche in prospettiva futura.
Quale può essere il bilancio complessivo dell’avventura iridata in terra colombiana?
“Il bilancio del recente Mondiale non è positivo per quanto riguarda i risultati. Non nascondo che, alla partenza, contavo di avere quattro carte da medaglia: Viviani nella corsa a punti e nello scratch, Coledan nell’inseguimento ed entrambi nell’Americana. Purtroppo, non è andata così”.
Dove può arrivare nell’inseguimento individuale Marco Coledan, che sembra stabilmente tra i migliori al mondo in questa disciplina?
“Anche ai Mondiali Marco ha disputato una grande gara, con una certa dose di sfortuna in fase di qualificazione. Il velodromo di Cali è coperto, ma aperto lateralmente; essendo lui una delle teste di serie, è partito nella penultima batteria e proprio in quel momento un temporale ha generato un forte vento laterale, condizione che non aveva interessato l’australiano e il neozelandese partiti quasi un”ora prima. Nonostante ciò, ha mancato la finale per l’oro di un secondo e mezzo e quella per il bronzo di due decimi. La prova è stata indubbiamente falsata da queste condizioni atmosferiche, lo testimoniano le performance dei favoriti Irvine e Serov, partiti subito dopo Coledan, addirittura usciti dalla top ten; in condizioni normali, Marco si sarebbe senza dubbio giocato l’oro perché è veramente tra i più forti al mondo”.
Il quartetto ha fatto progressi importanti sul piano cronometrico, ma la sensazione è che il livello si sia alzato e dunque non si riesca a scalare posizioni: quali possono essere gli scenari futuri del nostro inseguimento a squadre?
“Nel quartetto l’undicesima posizione finale stona molto, quella cronometrica invece è abbastanza positiva, stiamo parlando di un 4’06” su pista semicoperta. Anche qualche anno fa magari arrivavamo undicesimi, però ad una dozzina di secondi dalla zona medaglie; qui abbiamo chiuso a 4” dalla finale per il bronzo, dunque i progressi ci sono. In chiave qualificazione olimpica, prima di Londra il Belgio, unica nazione europea a qualificarsi, girava stabilmente 7”-8” meglio di noi, ora siamo lì a pochi decimi. Dobbiamo continuare a lavorare e a crederci, credo che il pass per Rio sia possibile. Tengo in considerazione anche altri atleti, oltre a quelli schierati a Cali: per me sarebbe un sogno vedere uno stradista, magari un cronoman in modo particolare, venire a provare nel quartetto e giocarsi un posto per le Olimpiadi, come sarebbe bello vedere anche un Coledan che magari si cimenta nella cronometro su strada”.
Ecco, si parla tanto di integrazione strada-pista: fino a che punto è possibile? Non crede che sia qualcosa su cui insistere maggiormente nelle categorie giovanili, ma poi inattuabile a livello professionistico perché le gare andrebbero ad occupare tutti i 12 mesi dell’anno?
“Intanto ci tengo a ringraziare due ragazzi come Coledan e Viviani che, con tanto sacrificio e grazie alla collaborazione di Bardiani e Cannondale, stanno facendo molto per la pista in Italia. Spero che facciano da traino per altri; molte nazioni straniere hanno fatto i complimenti ai nostri due ragazzi per come riescono a svolgere entrambe le attività. Qualche anno fa, eravamo da esempio in quanto a “doppia attività”: pensiamo a Baffi, a Lombardi, a Martinello. Penso che si possa fare ancora oggi”.
Come si spiega la totale assenza dell’Italia dal settore velocità?
“Penso che in questo settore si risenta particolarmente della forte vocazione da strada che hanno i nostri corridori. Se da allievo si nota un forte velocista, lo si spinge unicamente verso lo strada per le categorie superiori, nascondendogli il fatto che, più si va in alto, più servono anche altre qualità, oltre alla velocità pura, per primeggiare nelle volate, e così si perdono tanti talenti. Per quanto riguarda i recenti Mondiali, ci sono dei precisi requisiti di qualificazione fissati dall’UCI che permettono di accedere prima alla Coppa del Mondo e poi appunto alla prova iridata: bisogna raggiungere una certa quantità di punti nel corso delle gare internazionali, come ad esempio il torneo sprint organizzato alla Sei Giorni delle Rose di Fiorenzuola. Al 30 settembre, l’unico nostro velocista qualificato alla Coppa del Mondo era Francesco Ceci, che ha poi strappato anche il pass per i Mondiali, ma una frattura della clavicola gli ha impedito di esserci”.
Quali sono le prospettive di Elia Viviani in ottica Rio?
“Viviani, al pari di Coledan, è un ragazzo su cui faccio grande affidamento per la sua professionalità e per il ruolo che riveste in nazionale, perché si tratta di due atleti importanti sia nel quartetto, sia in alcune gare individuali, in prospettiva olimpica, come l’omnium. La qualificazione per Rio passa da Coppe del Mondo, Europei e Mondiali dei prossimi due anni; certo non sarà facile, Elia e Marco corrono professionalmente su strada e non potranno dunque vivere altri due inverni a pieno regime. Il fatto però di essere in due, magari con l’aggiunta di un Paolo Simion che poco più di un anno fa vinse in Coppa del Mondo, potrebbe agevolarli: riusciranno così a dividersi gli impegni nelle varie manifestazioni invernali su pista e quindi a cercare di raggiungere la qualificazione olimpica”.
Quali sono i principali problemi che impediscono all’Italia di rendere come altre nazioni nella pista? Si tratta di una questione di strutture e di investimenti o c’è anche un problema di mentalità?
“Per essere più competitivi, bisogna cambiare mentalità. In Italia abbiamo una tradizione ciclistica con pochi eguali, rivolta molto più verso la strada; infatti, se guardiamo alle medaglie olimpiche giunte dai velodromi, si tratta principalmente di stradisti prestati alla pista. Il calendario attuale, con le gare di pista in inverno, non aiuta certo un professionista a svolgere la doppia attività; non è nemmeno facile chiedere alle loro società di fermarli per qualche settimana in estate, in modo da poter mantenere la condizione fisica per le gare nei velodromi. La nostra federazione cerca di fare il possibile, mette anche a disposizione delle borse di studio per i ragazzi che partecipano a Coppa del Mondo e Mondiali. Le strutture? Montichiari è perfetta, si tratta di una pista olimpica coperta adatta per i nostri allenamenti e molto frequentata…perlomeno fino a marzo, perché poi con il sole vanno tutti su strada e si fa fatica ad organizzare stage e ritiri nei vari velodromi. Vorrei citare, ad esempio, quelli di Fiorenzuola, Dalmine, Bassano e Pordenone; le società locali organizzano gare di ottimo livello, ma troppo spesso i nostri atleti le saltano per preparare le corse su strada della domenica successiva. Questo, secondo me, è il problema di fondo che va risolto se vogliamo avere un ciclismo moderno in grado di puntare a medaglie olimpiche anche su pista”.
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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com