Editoriali

‘Italia, come stai?’: l’atletica azzurra ridotta ad un fantasma

Federico Militello

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Subito una premessa: dai Mondiali indoor di Sopot, considerato il percorso di avvicinamento e le migliori prestazioni stagionali degli azzurri, giunti in Polonia con una spedizione risicata, non ci aspettavamo di certo scintille e medaglie.
Il nostro grido d’allarme va rivolto al mondo dell’atletica italiana nel suo complesso, uno sport la cui crisi, per diversi anni nascosta dai risultati di alcune punte (Howe, Di Martini, Donato, Schwazer, Rigaudo), non accenna ad arrestarsi, anzi.

Vediamo in primis cosa non funziona, analizzandone poi le cause.
Partiamo dalla velocità e dal mezzofondo, due settori dove ormai la genetica è diventata un alibi. Certo, giamaicani e keniani resteranno sempre di un altro livello, eppure continuiamo a non comprendere la totale assenza dell’Italia in queste discipline. A Sopot abbiamo visto atleti americani e neozelandesi, di carnagione bianca, tenere il ritmo dei fuoriclasse africani sulle lunghe distanze, battagliando sino agli ultimi metri. Se i nostri atleti sono spettatori, non prendiamocela dunque con i geni…
Colpevolmente, inoltre, l’Italia continua a credere poco o nulla nei lanci. Nazioni come la Germania hanno costruito il proprio movimento atletico proprio su questo settore, che assegna ben 24 medaglie nelle competizioni estive tra uomini e donne (getto del peso, giavellotto, martello e disco). E il Bel Paese? Il fatto che a vincere i Campionati italiani del martello sia ancora il 40enne Nicola Vizzoni e che Paolo Dal Soglio (43) dia ancora filo da torciere al giovane Daniele Secci la dice lunga su come non si sia fatto nulla negli ultimi 20 anni per garantire un futuro importante in quest sport.
Che dire poi delle ‘multidiscipline’, dal decathlon all’eptathlon soffermandoci sulle prove all’aperto: manca una vera e propria scuola e, anche in questo caso, non si fa nulla per crearla.
Citazione finale, anche se non era presente in Polonia, per la marcia: in attesa della crescita di Eleonora Giorgi e della giovane Antonella Palmisano, siamo in pratica scomparsi anche dal vertice di un settore che per decadi ha rappresentato il nostro fiore all’occhiello.
Si salvano (ma è una sufficienza risicata) solo i concorsi, dove ancora riusciamo a sfornare campioni (o potenziali tali) come Daniele Greco ed Alessia Trost.

Viene da chiedersi: perchè tutto questo? Perché siamo caduti cosi in basso? Proviamo ad individuale delle cause che, a nostro parere, sono molteplici.
Il problema principale dell’atletica italiana, comune a tanti altri sport nostrani, è quello di non riuscire a tramutare in campioni le tanti giovani promesse che si mettono in luce nelle competizioni allievi e juniores. Un problema di cui ci ha parlato anche la grande campionessa del passato Fiona May, che ha affermato come “l’età dai 18 ai 21 anni è la più delicata. Nella testa di un ragazzo succedono tante cose“. E’ chiaro, dunque, che in quel momento serve stare vicini a degli atleti che, è bene ricordarlo, sono dei comuni adolescenti. Soprattutto, non ha senso spremerli sin dalla tenera età, per ottenere risultati in fondo fini a se stessi come quelli giovanili e magari ritrovarsi un atleta già appagato e demotivato proprio in occasione del cruciale salto tra i ‘grandi’.
Quanti atleti abbiamo visto emergere come potenziali fenomeni a 18-20 e poi eclissarsi e sparire dopo un paio di stagioni? L’elenco sarebbe molto lungo…

E’ innegabile anche la presenza di un problema culturale. Vi sottoponiamo una domanda che riassumerà un discorso molto più articolato: quante mamme sarebbero felici se le proprie figlie desiderassero praticare il getto del peso o il lancio del martello? Probabilmente zero su dieci, in una società dove le apparenze hanno di gran lunga soppiantato la realtà. La stessa tesi vale per tante discipline, pensiamo alla lotta o al sollevamento pesi…Non si comprende come lo sport, qualsiasi sport, fa bene alla salute e riveste un fondamentale ruolo educativo.

Altra causa del declino della nostra atletica è imputabile ai tecnici. Siamo sicuri che siano all’altezza della situazione? Probabilmente molti lo sono, altri no. Un atleta, per diventare un campione, deve essere supportato da un ottimo allenatore a partire dalla più tenera età, dove gli viene insegnata la tecnica, sino poi all’apice della carriera. Questo, purtroppo, accade raramente.

Tornando al difficile passaggio dall’età juniores a quella seniores, è innegabile come alcuni atleti, ottenute prestazioni tali da garantirsi un ingresso in un corpo militare e, dunque, uno stipendio fisso, accusino una sorta di senso di appagamento, non riuscendo più neppure a ripetere risultati che avrebbero dovuto costituire solo una base di partenza.

Per ovviare alle carenze sopraesposte, sarebbe necessario apportare dei correttivi. Lavorare sui giovani sino ai 20 anni investendo sulla tecnica, sullo sviluppo del fisico e senza inseguire ossessivamente il risultato; creare una scuola di alta specializzazione per i tecnici, rendendo necessaria la formazione con corsi di aggiornamento anche per gli allenatori di base; per quanto riguarda i corpi militari, elevare i requisiti per l’assunzione (dando maggior peso ai risultati seniores rispetto a quelli juniores) e magari prevedendo, pur nella difficile situazione attuale, degli incentivi economici in base ai risultati ottenuti.

Queste sono solo alcune delle soluzioni possibili e certamente non le uniche. Resta da capire se esiste una reale volontà di cambiare le cose. ‘Peggio di così non si può fare…’. Quante volte abbiamo ripetuto questa frase? Probabilmente ogni volta nelle ultime rassegne internazionali, segno di un contesto in continuo regresso. La nostra atletica è ridotta ormai ad un fantasma. Facciamo qualcosa.

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federico.militello@olimpiazzurra.com

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