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‘Cogito, ergo sport’: Valeria Straneo, la potenza di una mancanza

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“Ci sono in noi desideri più o meno latenti che sembrano aspettare soltanto l’occasione giusta per mostrarsi in tutta la loro forza ed evidenza”.
Giovanni Soriano

Il desiderio è da sempre legato al concetto di eros, di un amore inteso come tensione verso qualcosa, il che presuppone una mancanza, l’assenza di ciò che appunto si desidera e verso cui si tende.
Ed è stata proprio una speciale “mancanza” quella che ha accresciuto il desiderio di Valeria Straneo di fare della sua passione una professione. Maratoneta italiana di 37 anni, Valeria è affetta da una malattia genetica, la sferocitosi, a causa della quale è stata costretta ad un intervento di asportazione della milza nel 2010, intervento che ha risolto il problema di anemia che fino ad allora le impediva di correre a ritmi così elevati. Prima di allora Valeria non aveva mai pensato alle Olimpiadi, sia per via della malattia, sia per i vari impegni lavorativi e familiari, ma subito dopo l’operazione ha sentito di poter trasformare il “contorno alle sue attività” in 13 allenamenti settimanali.
Il fatto di possedere una malattia ereditaria il cui primo sintomo è quello dell’affaticamento e dei crampi alla pancia e l’aver subito un’importante operazione alla milza avrebbero facilmente fatto desistere chiunque dall’intraprendere una carriera sportiva da maratoneta. Chiunque ma non Valeria Straneo.
Per la prima volta con la maglia dell’Italia, a un anno dall’intervento, Valeria ha corso la mezza maratona Roma-Ostia, per poi dedicarsi a quella di Berlino e qualificandosi così alle Olimpiadi. Più facile a dirsi che a farsi, certo, ma in due anni la piemontese ha scalato, anzi, ha corso, il sua cammino verso il più alto obiettivo per un atleta: i Giochi Olimpici, giungendo ottava all’edizione di Londra 2012. Quello che per molti sarebbe stato un ottimo arrivo per Valeria si è rivelato un buon punto di partenza in vista dei successivi mondiali di Mosca, quando l’Argento non previsto l’ha resa una delle atlete più promettenti per il futuro.

Apollo e Dafne, Bernini

Tre anni fa, nel 2010 non avrei mai pensato di poter partecipare a un’Olimpiade o a un Mondiale e adesso sono qui“, ed è lì perché Valeria ha fatto di una mancanza la tensione verso uno scopo, mostrando che la corsa può essere molto più di uno sport e di una professione; può essere quel desiderio erotizzante che non dà tempo né modo di pensare ad altro, nemmeno al dolore perché, come disse Ben Longsdon, “non c’è tempo di pensare a quanto si soffre: c’è solo il tempo di correre”.

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