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‘Cogito, ergo sport’- Zlatanov, Kostner, Cagnotto: un (cog)nome, una garanzia

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Perché la gente ama lo sport? Perché nello sport c’è giustizia. Perché nello sport, prima o poi, trionfa la giustizia. Perché nello sport, prima o poi, i conti tornano, arrivano i nostri, vincono i buoni”.
Marco Pastonesi

Che sia individuale o di squadra, di acqua, invernale, estremo, ragionato, scattante, di resistenza, lo sport è l’emblema della giustizia, una giustizia retributiva, che ripaga il merito col premio, che fa della qualità il valore fondante della sua essenza.
Parlare di meritocrazia nell’ambito del lavoro, delle università, degli uffici, delle aziende; nella politica, nel mondo dello spettacolo televisivo, in quello della moda, dei giornali, del cinema appare spesso più un’utopia che una realtà. Difficile riuscire sempre ad evitare che siano i migliori, i meritevoli, ad avere il posto che spetterebbe loro; difficile impedire che a volte il nepotismo, il denaro, il potere non si impongano sul valore reale delle persone. Stessi cognomi che spesso fanno sorgere qualche dubbio perché “il successo è una cosa piuttosto lurida; la sua falsa somiglianza col merito inganna gli uomini” (Victor Hugo).

Tania Cagnotto

Eppure c’è un mondo in cui il cognome non ha il volto di un assegno, non è uno scambio di favori, non una minaccia: è un insieme coerente di lettere che evocano un tempo, un record, un’acrobazia, un tuffo, un goal, un traguardo. Un nome per una schiacciata, un cognome per un salto. Se sei il figlio di Pelè non farai automaticamente parte della nazionale brasiliana, così come non sei il numero uno nei tuffi se ti presenti come figlia di Giorgio Cagnotto. O forse sì. Forse lo sei, lo diventi, ma perché il tuo sangue non è diverso da quello di tuo padre, perché il talento dei genitori è parte anche di te o addirittura hai “molta più tecnica e carattere di me” (Giorgio Cagnotto parlando di Tania). Il bronzo mondiale del padre, le tre medaglie agli europei e le due olimpiche non erano un biglietto di passaggio per i 12 ori europei di Tania Cagnotto, anzi. Non è facile essere la discendente di chi ha avuto, come riconoscimento da parte del CONI, la medaglia d’oro al valore atletico. Certo, la supervisione di un occhio esperto e per di più familiare può influire, ma non è ciò che rende possibile la qualificazione alle Olimpiadi.

E neanche una medaglia “Stara Planina”, la massima onorificenza per il contributo alla Repubblica Bulgara nel campo dello sport, unita al nome del padre stampato sulla Hall of Fame a Holyoke, nel Massachusetts, è stato il movente per l’assegnazione a Hristo Zlatanov del premio come più grande bomber di tutti i tempi nel mondo della pallavolo. 8880 punti e un campionato (e chissà quanti altri ancora) da giocare, record mai raggiunto prima da nessuno, neanche da papà Dimitar, nove volte campione di Bulgaria, due Coppe dei Campioni, Argento olimpico a Mosca. All’inizio un’etichetta: presentarsi nel sestetto col cognome “Zlatanov” poteva oscurare la fama di un atleta con delle buone qualità, sia tecniche che fisiche; non è passato molto tempo però prima che Hristo dimostrasse di avere un talento fuori dal comune, tale da diventare il re del volley in serie A1 per 21 stagioni, il punto di passaggio tra due epoche pallavolistiche, la Generazione dei Fenomeni e i miti di oggi; idolo, oltre che capitano, di una Piacenza che vanta tra le sue file i nomi storici di Samuele Papi e Alessandro Fei. “Ho intenzione di andare avanti finché mi divertirò; e adesso mi sto divertendo molto”, e noi con lui.

Hristo Zlatanov, premiazione come miglior bomber

Carolina Kostner

Esiste forse qualche vantaggio nell’essere parte di una famiglia di atleti, campioni, di sportivi che la competizione, la tenacia, la voglia di vincere ce l’hanno nel sangue, ma tutto ciò non basta. Nelle vene deve scorrere anche dell’altro: senso artistico, leggerezza, precisione, potenza, passione. Figlia di una grande pattinatrice degli anni Settanta, sorella di un giocatore di hokey, cugina della due volte oro mondiale di sci alpino Isolde, Carolina Kostner è diventata la stella del pattinaggio artistico non certo per l’eredità di quel cognome così imponente, quanto per un talento inconsueto che, affiancato a sacrifici, sudore, rinunce, ha permesso al suo nome di risuonare e brillare accanto a quello del resto della famiglia. Con incantevole maestria Carolina ha rapito pubblico e giurie di tutto il mondo per una grazia fuori dal comune ma, come scrisse Alexander Pope, “la bellezza colpisce l’occhio, ma è il merito che conquista il cuore”.

Lo sport è il regno dei valori, dell’eticità, del senso di uguaglianza e della reale meritocrazia perché, nonostante doping, tifoserie spesso violente, razzismo, disonestà, la base di questo mondo rimane il modello che ogni struttura, ambiente, settore dovrebbero imitare: il vero senso di giustizia, quella giustizia che “dà a ciascuno il suo (Cicerone), indipendentemente dal nome di tuo padre, dalle medaglie di tua madre, dal cognome che solo la forza di volontà e un indiscutibile talento possono far (ri)emergere da un passato grande quanto il presente.

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