Ciclismo

Il ciclismo e la dilaniante cultura del sospetto

Marco Regazzoni

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“Ma sarà tutto vero”? Il sospetto coglie puntuale ogni appassionato di ciclismo, ogni giornalista, ogni tifoso…praticamente in ogni gara. Troppe le ferite, incalcolabili i danni, economici e sentimentali, generati da una serie immensa di casi di doping, che hanno colto con le mani nel sacco campionissimi plurivincenti o corridori di medio livello, senza distinzione.

Per questa ragione, tanto più è straordinaria una vittoria, quanto più si addensano le nubi di sospetti sull’autore. Anche perché la recente storia insegna che certi “imbrogli” possono essere scoperti a distanza di anni, se non addirittura di decenni: ovvero quando la scienza “positiva”, quella dei controlli, raggiunge il livello di quella “negativa”, quella della somministrazione di certe sostanze, in modo da smascherarla. Poi, chiaramente, si fa del campanilismo: in Italia si punta il dito contro le prestazioni di spagnoli e inglesi, memori del salatissimo conto che il nostro pedale tricolore, grazie ad un’encomiabile serietà della magistratura sportiva, ha pagato nel corso del tempo; all’estero, presumibilmente, si punterà il dito contro i (pochi) italiani vincenti. C’est la vie.

Così non si va avanti. Abbiamo più volte affermato, su queste pagine, di credere in un ciclismo pulito, e di avere piena fiducia nell’attuale sistema di controllo che rende quello delle due ruote lo sport più tartassato da questo punto di vista. Poi i sospetti vengono, proprio perché le lacerazioni del recente passato sono fresche e dolorose, non tanto per potersi esibire in una banale raffica di “te l’avevo detto” al primo caso di doping. Però, tutti i tifosi, i giornalisti, gli appassionati di questa meravigliosa disciplina dovrebbero seguire le gare con un atteggiamento diverso, con un po’ più di serenità: credendo, sì, alle gesta dei campioni, con la piena consapevolezza che se qualcuno ha cercato di fare il furbo, verrà puntualmente messo con le spalle al muro, presto o tardi, perché il ciclismo, a differenza di altri sport, non dà scampo da questo punto di vista.

Torniamo a guardare il Tour e le altre gare con gioia, forse anche con quel pizzico di invidia che coglie tutti i cicloamatori della domenica di fronte alla facilità con cui gli atleti pedalano e affrontano prove al limite dell’estremo. Seguiamo il ciclismo con grande passione e con altrettanta, incrollabile fede nella giustizia, con l’orgoglio di chi sa che il ciclismo ha combattuto e sta combattendo la propria battaglia con una serietà difficilmente riscontrabile in qualunque altra specialità sportiva. 

marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

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