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Editoriali

Sport di squadra, Coppa Davis e motori: Italia, non sai più vincere. Da potenza a comprimaria

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C’era una volta l’Italia che vinceva tutto…Anni Novanta e Duemila, un ventennio esaltante ed indimenticabile, dove il tricolore svettava in ogni dove. Ricordiamo abbuffate forse irripetibili, con trionfi a ripetizione negli sport di squadra (Mondiali di calcio, pallavolo, pallanuoto; Europei di basket, baseball, softball, etc.), vere e proprie dinastie nei motori (il ciclo Ferrari targato Michael Schumacher, le decine di affermazioni nel Motomondiale con Valentino Rossi, ma anche con Max Biaggi, Loris Capirossi e tanti altri), edizioni olimpiche stratosferiche (sia estive sia invernali), successi a raffica nelle classiche di ciclismo e potremmo proseguire ancora per molto un elenco di proporzioni gigantesche.

Confrontando il passato recente con l’attualità, sembrano trascorse ere glaciali…Oggi l’Italia ha perso lo status di potenza eclettica, capace di spiccare nei più svariati campi dello sport. Ora non sa più vincere. Stiamo vivendo realmente l’estate peggiore da 25 anni a questa parte.

Gli sport di squadra hanno collezionato flop a ripetizione. Ha cominciato la Nazionale di calcio, fermatasi ai quarti degli Europei dopo aver mostrato un gioco brillante ed organizzato. Diciamolo senza remore: una squadra che ha reso ben oltre le proprie potenzialità, grazie ad un fuoriclasse della panchina come Antonio Conte. In rosa non spiccavano di certo grandi campioni, con diversi elementi relegati al ruolo di seconde linee nei club di appartenenza.

La ferita più dolorosa, difficile da rimarginare, resta poi quella del basket. Una presunta generazione di fenomeni che in 10 anni non ha raccolto altro che un pugno di mosche, non riuscendo mai neppure a qualificarsi né per un Mondiale né per un’Olimpiade. L’epoca d’oro sembra ormai lontana anche per il volley maschile, il cui ultimo trionfo risale agli Europei 2005. Il quarto posto di ieri in World League ha confermato il solito ritornello: una squadra di qualità, incapace tuttavia di compiere l’ultimo step per issarsi sopra tutte le avversarie.

I successi recenti di Vincenzo Nibali e Fabio Aru nei grandi giri non cancellano il declino del ciclismo, incapace di produrre nuovi fuoriclasse per le corse di un giorno dai tempi di Paolo Bettini (ormai sono trascorsi otto anni). Sovente i migliori giovani nostrani vengono ingaggiati da squadre straniere (l’unica italiana nel Pro Tour, d’altronde, è la Lampre), dove vengono tristemente relegati al ruolo di gregari.

Per l’ennesima volta è sfumato anche il sogno Coppa Davis, il cui ultimo (ed unico) trofeo risale al 1976. Gli azzurri hanno pagato dazio ad un’Argentina più solida e, soprattutto, cinica nei momenti chiave, con quella ‘garra‘ che forse è mancata ai nostri portacolori.

L’Italia vive ormai di ricordi anche nei motori. Il Bel Paese detiene il record di titoli iridati vinti nel Motomondiale, tuttavia l’ultimo risale al 2009. Ancora oggi siamo aggrappati al mito di Valentino Rossi, magnifico 37enne per il quale, tuttavia, l’ultimo grande treno sembra passato lo scorso anno. Il fuoriclasse di Tavullia ha predicato per oltre un lustro da solo nel deserto (complice anche la prematura scomparsa dell’indimenticato Marco Simoncelli) e solo ora iniziano ad emergere alcuni talenti nelle categorie minori che, se non potranno ovviamente prenderne il posto, potranno garantire un futuro su livelli più che dignitosi. Anche in F1 siamo ormai abituati a veder gioire gli altri. L’ultimo Mondiale costruttori vinto dalla Ferrari risale al 2008, quello piloti al 2007. In mezzo tante occasioni perse tra strategie, problemi di sviluppo e, in sostanza, una macchina sempre inferiore rispetto a quelle di vertice (prima Red Bull, ora Mercedes). Considerando gli ingenti investimenti, si tratta di una sconfitta per un marchio che continua a rappresentare un motivo di vanto per l’Italia. Non dimentichiamo, infine, come in F1 i piloti italiani siano ormai estinti…

Ed ora arrivano le Olimpiadi di Rio 2016. Le proiezioni e l’avvicinamento all’appuntamento del quadriennio lasciano presagire, purtroppo, un rendimento azzurro non troppo dissimile da quello di questa estate sciagurata. Siamo reduci da due edizioni invernali tra le peggiori di sempre, con il fondo toccato a Sochi 2014 (zero ori e 22° posto finale nel medagliere). Dal 1996 al 2012 l’Italia ha sempre concluso le Olimpiadi estive tra le prime 10 del medagliere. L’impresa, questa volta, si prospetta ai limiti dell’utopia, tenendo presente non solo il medagliere virtuale, ma anche la forza di impatto di una spedizione che si annuncia molto meno ricca di talenti rispetto a quelle precedenti (ma su questo argomento avremo modo di tornare ampiamente nei prossimi giorni).

Cosa è cambiato, dunque, tra il ventennio d’oro ed un presente così fosco? Quel periodo a cavallo tra due secoli ha rappresentato un miracolo sportivo, mentre la situazione attuale potremmo definirla normale? O è il contrario e ci troviamo di fronte ad una crisi dettata da fattori contingenti? Le risposte richiedono un’analisi articolata, per la quale vi rimandiamo sin da ora al post-Rio 2016. Tuttavia appare abbastanza evidente un cambiamento di approccio emotivo rispetto al passato. Quante volte abbiamo visto l’Italia sciogliersi proprio nei momenti cruciali, quelli dove da un gesto può derivare un trionfo o una sconfitta. La sensazione è che si sia smarrita la fame di vittoria e, con essa, si sia spento il fuoco di una generazione irripetibile.

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federico.militello@oasport.it

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