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La Marcia Mondiale di Monti e Spada

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I recenti Mondiali di marcia a squadre disputati a Roma ci danno lo spunto per parlare di una delle discipline sportive che hanno portato gloria e allori ai nostri colori azzurri. E il trionfo del rientrante Alex Schwazer nella 50 chilometri di marcia, condita dal successo dell’Italia nella classifica per nazioni, non ha fatto che rinverdire questa popolare quanto prestigiosa specialità dell’atletica azzurra. Da questo punto di vista, non c’è dubbio che si tratta di segnali di risveglio per la marcia azzurra in vista dell’importante appuntamento olimpico di Rio 2016. Ma, per fare un punto sulla letteratura specialistica, quali pubblicazioni esistono in merito? A livello generale, l’ultimo volume di un certo rilievo è quello di Carlo Monti e Romano Spada Marcia mondiale. Una leggenda senza confini dalle origini ai giorni nostri  (Vallardi, 1996) realizzato grazie alla collaborazione di Maurizio e Giorgio Damilano. Si tratta di un testo un po’ datato e questo la dice lunga sulla poca evoluzione della cultura sportiva del settore. Tuttavia, le pagine di Carlo Monti, direttore responsabile de Il Veterano sportivo e collaboratore de Il Giornale e Il Corriere dello Sport, e di Romano Spada, direttore responsabile del periodico Libertas Lombardia e collaboratore de Il Corriere di Sesto e Jogging, ebbero il pregio di fare il punto della situazione della storia della marcia mondiale fino alla seconda metà degli anni ’90.

La Marcia, un’affascinante fatica

Malgrado le perplessità che nei profani suscita il bell’ancheggiare della marcia, non c’è alcun dubbio che si tratta di uno sport accattivante per tutti coloro che accettano di vederla e conoscerla, una specialità a cui ci si lega da “un amore viscerale per tutti coloro che hanno fatto di questa disciplina il leit-motiv della loro esistenza sportiva perché può sembrare anacronistico, nel secolo dominato dalle macchine, andare a piedi marciando ed applicando determinate regole di stile”. La trattazione dei due autori parte dalle Olimpiadi celebrate nell’antica Grecia ma è con le figure dello scozzese Robert Allardice e dell’americano Edward Weston che inizia la storia della marcia moderna. Allardice e Weston possono essere considerati i capostipiti della specialità, personaggi capaci di marciare per centinaia di chilometri alla seconda metà dell’800. Poco tempo dopo, la marcia arrivò anche nel nostro Paese e iniziò l’epoca dei pionieri come Angelo Balestrieri, Piero Fontana e, soprattutto, Ferdinando Altimani, bronzo a Stoccolma 1912. La marcia olimpica vide le sue prime gare nel 1908 a Londra con i 3500 metri e le 10 miglia entrambe vinte dall’inglese George Larner. Oltre al già citato Altimani, l’Italia raccolse ben presto altri successi grazie al milanese Ugo Frigerio, trionfatore nelle due gare di marcia in programma nell’Olimpiade di Anversa nel 1920. Il tipografo de La Gazzetta dello Sport, infatti, si impose sia nei 3000 che nei 10000 metri tagliando il traguardo al grido di “Viva l’Italia”, bissando poi l’oro nei 10000 anche a Parigi nel 1924 e conquistando un ultima medaglia a Los Angeles nel 1932 con il bronzo nella 50 chilometri. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale non solo insanguinò l’Europa, l’Africa del Nord e l’Estremo Oriente ma pretese il suo pesante tributo di vite umane anche tra le fila di atleti di tutte le specialità. Solo con l’inaugurazione delle Olimpiadi di Londra del 1948 si riprese a marciare e nuovi talenti come gli svedesi John Mikaelsson e John Ljungreen, il ceco Josef Dolezal e il sovietico Bruno Junk si affermarono. Ma gli anni successivi al conflitto mondiale videro anche il sorgere della stella Pino Dordoni, vincitore della 50 chilometri a Helsinki nel 1952. Il piacentino può essere considerato a ragione l’anello di congiunzione tra il prima e il dopo la guerra non solo per la sua indubbia classe ma anche per il fatto che aprì la strada a un altro talento della marcia azzurra, il fiumano Abdon Pamich, vincitore del bronzo a Roma 1960 sulla 50 chilometri ma, sopratutto, dell’oro quattro anni dopo a Tokyo sulla stessa distanza. Avvicinandoci ai giorni nostri, non possiamo non menzionare nomi di un certo peso degli anni ’70 come i sovietici Vladimir Golubnichiy e Nicolay Smaga, il tedesco occidentale Bernd Kannenberg, il messicano Daniel Bautista, i tedeschi orientali Peter Frenkel e Hans-George Reimann non dimenticando i nostri Domenico Carpentieri e, soprattutto, l’ex tecnico FIDAL Vittorio Visini. E arriviamo agli anni ’80, l’ epoca dei trionfi di Maurizio Damilano, uno dei marciatori italiani più forti di sempre e capace di gareggiare ad alti livelli per oltre un decennio nonostante avversari fortissimi come i messicani Ernesto Canto, Carlos Mercenario e Raul Gonzales, i tedeschi della DDR Ronald Weigel e Hartwig Gauder, il ceco Josef Priblinec, il sovietico Mikhail Shchenikov e lo svedese Bo Gustafsson. Ma i grandi successi del marciatore di Scarnafigi (solo per ricordare alcune tra le sue più importanti vittorie, oro a Mosca 1980 e bronzo a Seul 1988 alle Olimpiadi, oro a Roma nel 1987 e a Tokyo nel 1991 ai Mondiali e medaglia d’argento nel 1986 agli Europei di Stoccarda) non oscurano i risultati degli altri atleti azzurri come Sandro Bellucci e Raffaello Ducceschi. E siamo agli anni ’90 con i nostri Giovani De Benedictis (bronzo ai Giochi Olimpici di Barcellona nel 1992 e argento ai Mondiali di Stoccarda nel 1993), Michele Didoni (oro ai Mondiali di Goteborg nel 1995) e Gianni Perricelli (bronzo agli Europei di Helsinki nel 1994 e argento ai Mondiali di Goteborg nel 1995, entrambe le medaglie nella 50 chilometri) ottimi protagonisti in anni in cui la concorrenza internazionale presentava nomi del calibro degli spagnoli Daniel Plaza, Valentin Massana, Jesus Angel Garcia, del finlandese Valentin Kononon, dei cinesi Li Zewen, Zhao Yongshen, dei sovietici Valery Spitsin, Andrey Perlov, Alexander Potashev, del polacco Robert Korzeniowski e del francese Thierry Toutain. Le pagine di Monti e Spada rendono giustizia anche al settore femminile della marcia, spesso trascurato quando si parla di cultura sportiva ricordandoci grandi nomi italiani della disciplina come Luciana Salce, Ileana Salvador, la compianta Annarita Sidoti ed Elisabetta Perrone. Lo studio dei due autori non si esaurisce, poi, nella trattazione delle sole gare olimpiche e mondiali ma allarga lo sguardo alla Coppa del Mondo a squadre, una volta chiamata la Lugano Trophy, ai Campionati Mondiali Indoor, ai Campionati Europei outdoor e indoor e ai grandi meeting della marcia internazionale. Da questo punto di vista, è certamente meritorio da parte di Monti e Spada ricordare la Praga-Podebrady, la 50 chilometri più nota fra le classiche continentali, Il Giro di Roma (che cessò nel 1982), la Roma-Castelgandolfo, la Coppa Città di Sesto, dal nome della cittadina di Sesto di San Giovanni vero e proprio “tempio” della marcia mondiale, la Airolo-Chiasso (dal 1988 Airolo-Lugano), Il Gran Premio di L’Hospitalet e la cara, mitica Cento chilometri, la gran fondo organizzata dalla Gazzetta dello Sport che cessò la sua attività nel 1960.

Conclusioni

Per tirare le fila del discorso, il lavoro di Carlo Monti e Romano Spada, a tutt’oggi una delle poche pubblicazioni di carattere generale sulla marcia a livello internazionale, ha avuto il pregio di restituire con freschezza ed efficacia la dedizione di uomini e donneche, con le loro fatiche, le loro rinunce, le entusiasmanti affermazioni e talvolta i drammi, hanno permesso di scrivere magnifiche ed emozionanti pagine di uno sport fatto di abnegazione e sacrificio”. Come dire, il danzare del tacco e punta, la filosofia del ginocchio bloccato e la vista del bell’ancheggiare continuano a regalarci emozioni senza fine.

Di Simone Morichini

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